“Fotogrammi slegati” di Pier Bruno Cosso: una raccolta di racconti e monologhi, ciascuno dei quali si presenta con un’autonomia definita dalla singolarità delle tematiche.
Eppure esiste un filo che stabilisce un contatto tra tutti i testi.
Infatti il libro nel suo insieme può essere letto come una metafora del nostro tempo, delle nostre paure, delle nostre incertezze.
“Fotogrammi slegati” ci immerge in una realtà, la nostra, nella quale l’uomo sembra arrancare nel dubbio e nella ricerca di una felicità che raramente viene concessa.
La tranquillità sfugge, appare lontana, irraggiungibile:
“È tutto un insieme vicino alla follia: il lavoro, la corsa e la vita, che si contaminano a vicenda. Senza mai un giorno tranquillo.”
L’irrazionale corso degli eventi trascina gli uomini alla deriva:
“Perché la vita, come un aquilone va dove vuole lei, verso il vento che gira dove capita, e tu resti appeso a un filo a cercare di non fartelo scappare, e illuderti di indirizzarla.”
E diventa difficile individuare la giusta direzione:
“Come navigare nel deserto, non sei mai sicuro che sia la rotta giusta, e magari stai solo girando in cerchio intorno al niente”.
Passato e presente s’incontrano in noi.
Il tempo trascorso va accolto:
“… capire che le giornate vissute non ritornano, neppure nei ricordi, ma sono le porte dalle quali siamo partiti.”
E l’oggi impone di andare avanti, sperare nel futuro e nel cambiamento:
“Voglia di accettare la sfida, perché cambiare il mondo si può. Si può, dalla spiaggia del Lido in poi.”
L’uomo di fronte alle afflizioni si trova solo.
Nella lotta per la vita, spaesato e privo di sostegno stenta a contrastare le avversità determinate dal caso e dal contesto sociale.
Le sue battaglie restano private e isolate.
Il fallimento dell’uomo si accompagna a un individualismo esasperato, che ostacola trasformazioni radicali, possibili solo grazie a una azione collettiva.
Pur esulando da toni drammatici, lo scrittore Pier Bruno Cosso esprime una concezione pessimistica della vita perennemente tempestata da problemi e turbamenti interiori.
Il pessimismo viene, però, ad essere mitigato dalla volontà di non arrendersi.
Fragilità e forza si scontrano.
Talvolta prevale l’una, talvolta prevale l’altra.
La vita è come una estenuante maratona che rischia di logorare e di abbattere le energie dell’uomo:
“Perché è solo con te stesso la sfida da vincere, nella corsa, nella vita o nel lavoro. Sei tu.”
Nella corsa della vita, aver profuso tutte le energie, anche quando non assicura una vittoria, salva una dignità che si sarebbe persa nell’arrendersi.
Gli unici personaggi che appaiono perdenti sono i violenti e i corrotti.
Lo scrittore Pier Bruno Cosso sembra voler suggerire che il valore dell’individuo non è commisurato né alle vittorie né alle sconfitte ma alla serietà delle sue lotte.
L’uomo, quando cade come un maratoneta sfinito, guardando il mondo da una posizione orizzontale ha la percezione di una condizione ancora più allarmante.
Ed è proprio nei momenti più dolorosi che dovrà sprigionare ogni energia per risollevarsi:
“Superare la sofferenza e ricominciare. Non puoi fermarti a costruirti un alibi, il mondo continua; gli aerei partono, la pioggia scende. Cadere e rialzarsi.”
I racconti di Pier Bruno Cosso ci pongono di fronte alle diverse forme di violenza che caratterizzano la nostra epoca.
La violenza contro l’ambiente, la violenza contro la donna, la corruzione e la droga, tutti indicatori di un degrado morale che contrasta con l’evoluzione tecnologica e il progresso scientifico.
Il malessere della società nasconde in sé anche la delusione di coloro, intellettuali e gente comune, che tra gli anni Sessanta e Settanta hanno fermamente creduto in un rinnovamento radicale.
Il fallimento e il disinganno di una generazione sono emblematicamente racchiusi nella contemplazione di un paesaggio marino, che rivisitato dopo quarant’anni appare decadente. Neppure la tenerezza dei ricordi riesce ad alleggerire la desolazione di un luogo abbandonato e dominato dall’incuria:
“Anche la spiaggia infinita, che arriva da molto lontano e si lancia fino all’estremo orizzonte, sembra essersi fermata lì a fare un po’ di casino: dune di sabbia e macerie che si inghiottiscono a vicenda, punteggiate qua e là da cespugli piegati dal vento. Pare che una tempesta abbia devastato tutto in un tempo remoto, e che a nessuno sia più importato di mettere a posto.”
Il luogo dei valori è stato abbandonato come il vecchio stabilimento balneare. Restano i ricordi e la nostalgia.
Le tante promesse sono state tradite:
“Basta poco a due ragazzi nel difficile guado negli anni Settanta. Basta poco, perché la vita davanti è una promessa.”
La furia devastatrice dell’uomo resiste, anzi ha elevato la propria soglia, opera contro la natura e non esclude gli animali.
E può rendere “terribile una mattinata d’autunno”.
Gli uomini raccontati dal punto di vista di un cinghiale appaiono crudeli e pericolosi, e, non meritando di essere menzionati con il loro nome, sono definiti con le armi che usano: Fucile nero, Doppietta, Automatico.
“La gente normalmente pensa che i cinghiali non abbiano sentimenti, non abbiano pensieri. Be’, gli animali lo sentono il buco nel petto della morte, lo strazio di quando Lei è lì, che si stringe attorno alla gola.”
Mentre gli animali restano fedeli a un istinto che risponde allo spirito di conservazione, gli uomini si accaniscono per puro divertimento contro esseri inermi.
Però dalle parole di una ragazza, che non ha perso la propria umanità, viene un monito:
“L’ho avevo detto, l’avevo detto! Avete esagerato troppo, e la natura si riprende il suo territorio.”
La perdita della pietà mette in atto un processo di disumanizzazione, che non risparmia nessun luogo.
In alcuni racconti si profila la violenza della città.
Alla violenza urbana, che vede i giovani vittime e protagonisti, fanno da sfondo la corruzione e il falso perbenismo degli adulti, molti dei quali si mimetizzano dietro posizioni di prestigio che li rende insospettabili:
“Vedo solo tanta sofferenza, passione, spari, ossessioni, e due ragazzi finiti sull’asfalto. Vite rovinate, per cosa? Siamo diventati frenetici, arraffare i nostri privilegi senza pensare alle conseguenze. Tutti.”
Lo scrittore Pier Bruno Cosso ritrae l’angustia e lo smarrimento dell’uomo che ha perso il senso dell’orientamento e si limita a vivere le situazioni contingenti senso un progetto esistenziale.
Il professore Silverio Isuledda coinvolto in un fatto di sangue, al quale è estraneo, sarà costretto a dimostrare la propria innocenza:
“Credo di aver capito che il sogno sia finito, ma mi accorgo che la via Schiavazzi mi ha insegnato a lottare.”
Neppure le situazioni più drammatiche possono legittimare la disperazione. La lotta è connaturata alla vita:
“Ci penso: via Schiavazzi non è un luogo fisico, è un luogo dell’anima dove prendi la coscienza e puoi ripartire per risalire la china.”
I personaggi di “Fotogrammi slegati” ci rappresentano, sono vicino a noi, al nostro smarrimento, alla nostra confusione, al tentativo disperato di mettere ordine nel disordine di un’epoca segnata dal relativismo e dalla transitorietà.
La matrice comune a tutte le forme di violenza è nella cultura androcentrica, la stessa che guida la mano dell’uomo contro le donne.
I personaggi femminili del romanzo sono reattivi, ciascuno a proprio modo cerca di sottrarsi al dominio ora sottile ora violento dell’uomo.
Non rinunziano mai a un percorso di emancipazione e si battono per elevare la propria autonomia a fronte di un maschilismo ostinato.
Significativa appare la rivendicazione di Michela, una ragazza degli anni Settanta che attraverso il rifiuto di condividere i gusti musicali del fidanzato esprime con determinazione un bisogno di libertà:
“A me non mi cambi. Né per la musica, né per il resto. Sono fatta così, non ci posso fare niente. Come ti ho già detto: prendere o lasciare. Non sei costretto.”
Luisa, una donna che in un impercettibile logorio quotidiano subisce le critiche del marito, troverà l’energia per ribellarsi a una violenza psicologica che rischiava di distruggerla e un atto di trasgressione segnerà l’inizio di un cambiamento:
“Nessuna fuga, forse questo è l’ultimo treno per cercare di recuperare: ho deciso di cambiare ciò che non mi va, a iniziare da me, risponde in automatico. Tanta sicurezza la sorprende.”
Nei personaggi maschili si coglie una maggiore difficoltà ad accogliere la parità soprattutto all’interno di un rapporto di coppia:
“Fa la sostenuta per quello schiaffo. Schiaffo? Era un buffetto, una pacca sulla guancia, poco più che una carezza e non c’era bisogno di fare tutto quel casino.”
Lo stile di scrittura di Pier Bruno Cosso risulta efficace sia per l’ampiezza lessicale che per la presenza di immagini di notevole effetto visivo.
Nei racconti si coglie un bisogno di concretezza che spinge lo scrittore a rendere visibile l’invisibile, attraverso figurazioni che nella loro trasparenza si impongono coinvolgendo tutti gli elementi sensoriali.
Ricorrenti sono le comparazioni, che sorprendono per singolarità e coerenza logica.
Nella narrazione di Pier Bruno Cosso la parola diventa immagine.
L’astrazione del pensiero, che non vuole restare chiuso in sé stesso, esige uno spazio per attivare una comunicazione ampia e immediata. Non a caso lo scrittore attraverso il linguaggio verbale ripropone atmosfere cariche di quella potenza rappresentativa tipica dei fotogrammi.
“Fotogrammi slegati” di Pier Bruno Cosso è un libro degno di essere apprezzato da chi, oltre ad amare la buona scrittura, cerca in essa stimoli per riflettere ed espandere il proprio vissuto.
Elvira Rossi