Sarebbe facile, oggi, in Terra sarda, interpretare il senso di abbandono del Potere centrale, e di povertà allarmante e progressiva, oltreché generalizzata, come retaggio di quel discrimine miope e reazionario che fu il biglietto di visita dei governanti del neonato Regno d’Italia, per ironia del termine, già noto come Regno di Sardegna.
L’analisi storica più seria ha evidenziato i metodi e le responsabilità con cui il Sud, visto come “palla di piombo” alla crescita e al progresso, fu “liberato” e avviato verso la sua modernità…Il ché nulla toglie allo smalto delle nostre pagine più eroiche ed alla grandezza del Pensiero Risorgimentale.
È per una ragione “istruttiva” che ne faccio cenno; sia perché il bianco e il nero, il bene e il male, vanno sempre insieme, nelle vicende umane ed è impossibile separarli, che per il fatto che le diottrie dei Governanti dei Paesi più industrializzati, non sono, oggi dissimili da quelle accennate, come si vedrà.
Per la Sardegna, forse si toccò il culmine. In epoca di cultura lombrosiana, viene pubblicato, nel 1897 e pesantemente divulgato, una saggio “antropologico” e fisiognomico di Alfredo Niceforo “la delinquenza in Sardegna”, da cui emergeva, come verità pseudo-storica, il tratto deviante della natura dei Sardi, come causa dei problemi dell’Isola, in particolare delle zone interne e della Gallura, (evidenza della conformazione del cranio, ecc.)*…Niceforo arrivò a scrivere, successivamente (1899), ne :“L’Italia barbara contemporanea” : “La razza maledetta che popola tutta la Sardegna, la Sicilia e il mezzogiorno d’Italia, ch’è tanto affine per la sua criminalità alla prima, dovrebbe essere trattata col ferro e col fuoco”.
Ma non è forse demagogia e della peggior specie, spolverare gli archivi del dolore ? Che senso ha parlare di cose d’altri tempi adesso ?
Ha senso, perché come molti pensatori sostengono, il tempo è un’invenzione dell’uomo.
Con la lente dell’Oggi, non vediamo passare il tempo, ma gli eventi.
Noi possiamo cogliere solo il nostro “essere nel tempo”. Tutto ciò che abbiamo è nient’altro che il frammento infinitesimale dell’Oggi, che scompare, nel momento in cui tentiamo di stringerlo.
Da questo punto di vista, il Tempo può considerarsi una linea retta, dove l’ieri è come l’oggi.
E il riferimento, per quanto scomodo, acquista il significato di un Monito.
Perché quei Sardi oltraggiati nella propria essenza, oggi si chiamano Nordafricani, Rumeni, Albanesi, Rom e altro ancora, nella lunga cordata dell’emarginazione. Noi, anche noi, oggi, siamo parte giudicante. E dunque si rifletta, prima di considerare “Acqua passata”, quella certa mentalità.
Sui Diritti Umani
La terminologia con cui ci riferiamo ai Diritti Umani è uguale a quella utilizzata nel mondo dell’informatica, per i computer : si parla di “generazioni” e questo potrebbe trarre in inganno. Diversamente dai computer, il mondo dei Diritti procede per accumulazione, per ampliamento; le ultime generazioni non relegano nel passato le precedenti, ma ne attualizzano, ne storicizzano il senso, talvolta scolpendolo, col linguaggio della passione civile. E il fatto che siamo ormai ad una prevista “quarta generazione”, evidenzia in maniera incontestabile la loro naturale propensione al cambiamento storico. Nel settecento non c’era traccia dei diritti sociali, entrati oggi nella quotidianità. È lecito pensare che in futuro possano presentarsi istanze non prevedibili. Per questo non possono esservi Diritti, più “diritti” di altri.
Il problema dei “Fondamenti” che ha visto tante menti impegnate, ha dimostrato che non esistono diritti, per loro natura, fondamentali. Tutto cambia, si modifica, si evolve, così un’epoca storica e una cultura, come i diritti che esse manifestano.
Così è stato per il 1948, anno in cui, ancora con le macerie del II conflitto mondiale, si ebbe il coraggio e l’intuizione di proclamarne il Valore vincolante, almeno per i 48 Stati firmatari. Bobbio, giustamente, parlò di una “rivoluzione Copernicana”. Perché sino ad allora tutta la codificazione delle norme comportamentali arcaiche di riferimento era imperniata sui divieti e sui doveri, dalle Tavole della Legge di Mosé, più recenti, andando a ritroso sino al Codice di Hammurabi, o ai 42 Comandamenti di Maat, dea simbolo della Giustizia e della Verità.
“Diritto e dovere sono come il retto e il verso di una medaglia” – precisava Bobbio, intendendo che l’uno giustifica e sancisce l’altro. La medaglia fu rovesciata alla fine del XVIII secolo.
Da allora, molto è stato fatto, bisogna riconoscerlo, dalla parte dell’Uomo, ma ci sono delle ragioni, non solo di Stato, che ne impediscono o, al meglio, ne limitano, la reale applicazione.
Si pensi ai Diritti Sociali, di 2^ generazione : l’impossibilità di dar corso all’equità dei mezzi e dei modi a favore della persona umana, è data dalla inevitabile redistribuzione delle risorse, a cui si sarebbe necessariamente obbligati, soprattutto dal punto di vista morale.
Già questo dato, elementare, ma fondamentale, crea rilevanti problemi d’udito per ogni classe politica.
Si pensa che sia pura follia la dissipazione delle proprie risorse a favore di terzi, anche se sussistono analisi e studi, autonomi, di economisti illuminati, nei vari paesi, che confermano la possibilità di una risposta positiva ai bisogni primari della gente, tramite uno sforzo collettivo congiunto.
Implicitamente c’è da osservare che senza l’obbligatorietà del rispetto della Norma, non può esserci la tutela di alcun Diritto.
Per questo, Norberto Bobbio, ci ha ricordato che il vero problema non è quello di averli fondati, bensì quello di proteggerli.
E lo vediamo bene, in rete, in tempo reale, quanto sia simile ad un campo minato afgano, la vita del Pianeta; guerre e povertà dilagante, mortalità infantile per fame e malattie, soprattutto in Africa; l’inaccettabile rapporto fra le superpotenze, facenti capo a una minoranza privilegiata e protetta, che esportano insieme, ordine, democrazia, armi e “istruttori”, e l’impotenza delle grandi masse umane condannate alla fame, con l’unica colpa di esserci.
Certo, per nostra fortuna nascono i Gino Strada e i Giobbe Covatta, ma basarsi su questi apostoli spontanei e autentici, per risolvere problemi atavici ormai incancreniti, sarebbe come sostenere il valore e l’efficienza della Sanità, in Italia, grazie alla fatica del Volontariato.
E qual è il rapporto fra l’Italia e i Diritti ?
Secondo l’ILO, Agenzia ONU abilitata al controllo, si denuncia per l’Italia “un comportamento senza precedenti” per un paese democratico :
contravviene alla convenzione 143, che stabilisce la promozione delle pari opportunità, trattamento dei lavoratori migranti, ratificata dal nostro paese, nel lontano 1981.
I paesi a cui siamo stati accomunati per le stesse inadempienze sono : il Benin, il Burkina Faso, il Camerun e l’Uganda !
Ma un altro Organismo ONU, per l’eliminazione della discriminazione razziale, il Cerd, è duramente più esplicito e rileva : “gravi violazioni dei diritti umani verso i lavoratori migranti dell’Africa, dell’Est Europa e dell’Asia, con maltrattamenti, salari bassi e dati in ritardo, orari eccessivi e situazioni di lavoro schiavistico in cui parte della paga è trattenuta dall’impresa per un posto in dormitori affollati, senza acqua né elettricità”. Si mettono anche in evidenza: “I continui dibattiti razzisti e xenofobi essenzialmente contro immigrati non europei, discorsi ispirati dall’odio contro gli stranieri e maltrattamenti delle forze di polizia verso i Rom, specialmente quelli di origine Romena, durante i raid per lo sgombero dei campi”. Il nostro Governo avrebbe dovuto rispondere a queste osservazioni, entro la fine del 2009.*
E perché non ricordare il caso Cucchi, in carcere, o gli abusi nella caserma Diaz, a Genova durante il G8 del 2001 ?
Non può trattarsi che di “Raccomandazioni”, non essendoci alcun altro mezzo di condanna; ma assommano a ben 92 i punti che pongono l’Italia in difetto, rispetto agli standard minimi richiesti.
Fra questi, l’assenza di una Convenzione contro la tortura e, ancora peggio, l’assenza del reato di tortura all’interno del codice penale italiano. Nel Bel Paese, semplicemente, la tortura non esiste.
Ma, oltre ai citati Migranti, l’assenza di una educazione ai diritti umani; forti discriminazioni nel mercato del lavoro, verso le donne; verso gli omosessuali; labilità dei diritti dei minori; sovraffollamento delle carceri; la tratta delle prostitute; l’autonomia dell’informazione e il conflitto d’interessi.
Resta la Libertà di vergognarsi e, se uno ce la fa, di Indignarsi.
La quarta generazione
La complessità e la velocità di trasformazione, anche scientifica, del nuovo millennio, rende probabilmente necessaria la nascita di una quarta generazione dei Diritti, quali la bioetica, la manipolazione genetica, le nuove tecnologie di comunicazione, richiedono.
“Vivere alla fine dei tempi” si intitola un saggio di un intellettuale sloveno, Slavoj Zizek, dove, al tramonto di un progetto “globale”, si oppone e dilaga “una crescita delle esclusioni totali”.
Può darsi che l’orientamento complessivo del “villaggio globale” vada completamente ripensato e collocato al livello dei popoli e cioè della persona, prima che degli Stati, della macroeconomia e dell’alta finanza. Sinché c’è margine di manovra, l’errore, anche quello gravissimo dello scollamento del mercato europeo, serve sempre a porsi ulteriori domande che possono raggiungere migliori obiettivi.
Sinché c’è margine di manovra…e vien a mente la celebre frase di Paul Valéry, dal “Regards sur le monde actuel”, che, per quanto datata 1931, si addice al nostro orizzonte: “Il guaio del nostro tempo è che il futuro non è più quello di una volta”. La preoccupazione sottesa era lo sgomento per l’ascesa vertiginosa del processo scientifico e tecnologico che, scavalcando l’uomo, lo riduceva a componente accessoria. Qualcosa di molto prossimo alla “Critica del pensiero calcolante” di Heidegger, ripresa con vigore, in tempi recenti, proprio da un filosofo Italiano di spessore, Umberto Galimberti, che riafferma la necessità del recupero del pensiero umanistico a priori, anche nell’interesse di quello economicistico.
Il nostro futuro anteriore potrebbe intendersi come lo stargate attraverso cui la nostra idolatria del possesso si sgretoli, abbattendo ogni forma di “divide”. Il nostro futuro prossimo è una sala d’attesa presso binari su cui transitano interrogativi a breve termine; è ancora una proiezione puntellata delle nostre paure, delle nostre incertezze; è un presente obliquo che da sé non sta in piedi. Risolvere le incognite dipende solo da noi.
forse aveva ragione Kant
Ai suoi tempi si parlava dei “Diritti irresistibili”, che lui definiva “innati” e la sua riflessione lo portò a sintetizzarli in uno solo : la Libertà. Inevitabilmente, la Libertà trascina con sé la Giustizia : non può esservi Libertà se non equa.* La forza, impiegata con una disinvoltura criminale ancora da molti regimi, può originare un certo tipo d’ordine, non la Giustizia. La forza, nel momento in cui irrompe, ha decretato la sua fine…Strano che ancora non ne siamo convinti.
Essendo un anelito innato dell’Uomo, è impossibile definire che cos’è la Libertà (esattamente come per il fondamento dei diritti); ma se Kant avesse visto giusto, si spiegherebbe il perché del loro proliferare.
Può essere rapportata ad uno dei cinque solidi platonici, l’icosaedro; per inciso, anche Aristotole, nell’Etica Nicomachea, sviluppa un ragionamento intorno ai vizi e alle virtù e intuisce un metodo accettabile per confermare la loro valutazione. Gli èndoxa, che equivarrebbero ai nostri punti di vista, hanno funzione di premessa al sillogismo dialettico, basandosi su opinioni condivise, o condivisibili, dei più. Per dire che fu un problema antico.
L’icosaedro, con le sue venti facce, è ovviamente un pretesto teorico, per evidenziare che ognuna di esse è, nella propria singolarità, una espressione dell’insieme. Ma se potesse applicarsi, al concetto di Libertà, l’analisi del metodo Frattale, arriveremmo ad una funzione ricorsiva, un algoritmo, che iterato un gran numero di volte esprimerebbe la stessa, identica immagine, su scala diversa, all’infinito.
In sintesi, se uno muove la Leva della Libertà, si sviluppa un processo moltiplicativo tipico della Progressione Esponenziale. Una reazione a catena, con effetti non prevedibili.
A partire dalla semplice negazione della schiavitù, si arriva, in epoche diverse, a rigettare ogni nuovo condizionamento o impedimento, fisico e mentale, al pieno sviluppo della Persona Umana. Impossibile, perché impensabile, fissare un Limite.
Questo implica che bisognerebbe stare attenti anche nell’esportare la democrazia, presso popoli che non l’hanno mai conosciuta, perché non è questione né di soldati, né di polizia, ma di educazione, di scuola, che agiscono per tempi lunghi e radicano.
Nel 1995, Norberto Bobbio evidenziava la differenza fra il nostro progresso scientifico e il progresso morale, la contrapposizione fra “la nostra sapienza di indagatori del cosmo e il nostro analfabetismo morale”.
Circa il futuro e il lascito alle nuove generazioni, contro la miopia di chi sostiene che non dobbiamo niente alla posterità, conviene ricordare quanto esplicitamente espresso nella Costituzione francese del 1793 : “Una generazione non ha il potere di assoggettare alle proprie leggi le generazioni future”.
O il significato profondo, nella sua semplicità, di un antico detto dei Nativi americani : “Non abbiamo ricevuto la terra in eredità dai nostri padri, ma in prestito dai nostri nipoti”.
(Chiosa)*
Gian Carlo Lucchi