In un contesto sociale isolano ancora fortemente turbato da situazioni di stampo feudale, vanno ad aggiungersi sistemi di leggi non innovativi, promossi dal Governo sabaudo e gli effetti devastanti delle due Grandi Guerre. Osilo sembrerebbe una “isola felice” grazie alla sua storia, alle personalità che ha nutrito:
si pensi che nel Primo Novecento, durante la Grande Guerra, Osilo contava ben 900 telai ( rispetto ai 2400 sparsi negli altri centri del Logudoro) e le donne di Osilo tesserono le bende per i feriti della guerra mondiale.
Tuttavia, la comunità osilese non è (non era) immune da residui feudali e/o elitari, seppur sottesi, mai dichiarati e purtroppo tollerati. Per questo la figura di padre Manzella (1) prima e di fratel Bacci (2) poi, si sono rivelateanche per l’Osilo di allora come una sorta di “porte-bonheur”per tutta la comunità,
per quantosostanzialmente tranquilla rispetto ad altre.
Ma, come sempre accade, anche nelle migliori comunità spunta quella che Montale definisce “la maglia che non tiene”: infatti in qualche famiglia benestante il rapporto tra servi e serve (giovanissimi, a partire dai sette anni, teraccheddos -teraccheddas) e padroni era rigorosamente verticistico, a volte imperioso, talvolta deviante.
Si tramanda, fra l’altro, che le peggiori condizioni di vita erano a carico dei piccoli provenienti dalle frazioni, in particolare da san Lorenzo.
Costoro, diversamente dai piccoli osilesi, non erano semplici prestatori d’opera ma vivevano nelle case dei padroni e spesso erano oggetto di attenzioni poco dignitose.
Ciò accadeva principalmente nelle famiglie mediane di coloro che venivano etichettati come “poberos altzados”. Nella maggior parte dei casi, invece, soprattutto in famiglie di rango, il rapporto era familiare e protettivo nei confronti dei piccoli ai quali la fame e la povertà aveva giocato uno scherzo crudele.
Le disparità, dunque, erano una eccezione, non la regola, purtuttavia esistevano e secondo padre Manzella andavano se non sanate, almeno spianate.
Padre Manzella, infatti, non disdegnava gli elitarismi, specie quelli materiali ma meglio se associati ad onestà intellettuale.
Nella sua opera, affiancato spesso dal fedele scudiero fratelBacci ebbe modo di entrare in contatto con persone altolocate che senza difficoltà riuscirono ad inserirsi nel suo programma di vita. Tra i quali è bene ricordare l’allora famosissimo avvocato Giovanni Zirolia, nativo di Osilo, che fu tra i finanziatori che gli permisero “materialmente” di fondare e portare avanti il giornale diocesano “Libertà”.
Manzella dunque, operatore di rinascita individuale e sociale, attento alle miserie umane. Convinto che solo sotto ilsegno della Croce, si possa essere “portatori sani”di bontà, carità e umiltà; non faceva mistero di “amare il prossimo come se stesso” e forse anche più di se stesso.
Stimato, rispettato, amato da tutti è ancora oggi ricordato con grande affetto e trasporto negli istanti nei quali entrava nelle case e benediceva.
Più che semplici visite, erano momenti di “missione” vera e propria, nei quali oltre a rafforzare la fede in Cristo si adoperava per risollevare gli animi dalle umane miserie.
Tra laprima metà del Novecento e quella del secondo Novecento, percorse gran parte del Logudoro ad evangelizzare.
Nell’ascoltare i testimoni di quel tempo, si ha l’impressione di vivere una sorta di “amarcord” felliniano, in cui nonostante difficoltà, povertà, ostruzionismi, pareva che tutte le tessere del mosaico della vita fossero al proprio posto.
Del suo passaggio, sotto il canonicato del Demontis, Osilo ricorda due Croci: la prima (forse), appena fuori paese sulla strada per Nulvi (oggitra il panifico e la casa cantoniera); la seconda nello spazio antistante la chiesa di santa Lucia, di fronte alla stessa; entrambe con il basamento suddiviso in tre blocchi di basalto osilese, lavorato con mazzetta e scalpello, secondo il costume dei nostri “piccapedreri”.
Il primo blocco in basso usato per spianare il terreno (circa cm 50 x 50 x 20), il blocco centrale (alto cm 90), la parte terminale (cm15) regge una sorta di segmento piramidale in cui è inserita la Croce.
Questa Croce reca la data del 1927.
Dell’altraCroce, innalzata praticamente a margine dell’allora ingresso per Osilo, forse nel 1932, la voce popolare ricorda frammenti che celano qualche tragicità.
Non si conosce la data in cui è stata eretta, si sa con certezza che la Croce sia stata colpita e danneggiata (probabilmente piegata) da un fulmine durante un pauroso ciclone, o quello stesso del 1932 oppure in un ciclone successivo.
Alcuni sostengono che la Croce, pur piegata, sia stata divelta da quattro facinorosi, tre dei quali passati a miglior vitain un brevissimo lasso di tempo, il quarto sopravvissutoin quanto, resosi conto del misfatto, corse a Sassari per chiedere perdono a padre Manzella.
Si racconta inoltre cheil basamento sia stato divelto e fatto rotolare giù nella scarpata nei primi anni Ottanta, quando il Comune decise di risanare la zona e fare il marciapiede.
Entrambe le Croci erano state benedette pubblicamente da padre Manzella.
Un testimone credibile ricorda invece che Croce e basamento scomparvero quasi contestualmente e che già negli anni Quaranta non esisteva più traccia.
Si racconta ancora che negli anni Quaranta,venne posta al margine dello scivolo tra la discesa della chiesa e la statale 127 (praticamente di fronte alla prima) un’altra Croce; la voce popolare non ricorda se il basamento fosse lo stesso della Croce precedente.
Purtroppo anche quest’ultimavennecolpita e piegata da un fulmine; non è improbabile che il basamento sia stato sollevato nel momento in cui il Comune decise di fare il risanamento dell’area con annesso muraglione.
Dopo la morte del Manzella, padre Bacci suo fedele, umile attendente e servitore, pensòdi riprendere la strada tracciata dal maestro ed ecco che nel 1949 ritorna la missione ad Osilo.
La Croce come ricordo del passaggio dei missionari venne posizionata al Rosario, quasi di fronte alla omonima chiesa.
Nel 1953, un’altra missione,posizionò la Croce nel bizio tra la strada provinciale 72 e la circonvallazione che porta al Cimitero, in località “ sa ‘olta de paliàcciu ( ossia: la curva del sole. Infatti il sole nel lessico del dialetto di Osilo è indicato comde “ paliàacciu”. Sia nella toponomastica del paese, come in quella dell’agro, sono molto frequenti toponimi aggraziati, piacevoli, come se tutto il territorio fosse un sito fiabesco.
Entrambe le Croci, realizzate in ferro con base a tripode, poggiano su un supporto di mattoni rossi e il tutto su un basamentodi calcestruzzo rivestito da mattoni rossi.
In questo periodo la Parrocchia di Osilo era sotto il canonicato di don Sardu,
Di Missioni ad Osilo se ne conta ancora una nel 1955 (in questo periodo la Parrocchia di Osilo era sotto il canonicato di don Sardu) e tre in epoca recente: una nel 2000, durante il canonicato di don Salvatore Saba, due durante il canonicato di don AntonioCuccureddu, nel 2008 e nel 2012.
Di queste ultime solo quella del 2008 fu molto seguita, gestita dai missionari e principalmente rivolta agli allievi delle scuole di Osilo.
Nel ricordo popolare restano impressi alcuni dei nomi dei missionari: padre Delgrosso,padre Manassero, padre Riva, padre Sella, padre Ronco, forse padre Galloed un giovanissimo padre Favole, il quale nell’intento di arrampicarsi sulle scale per il campanile (già allora in precarie condizioni) cadde e si fratturò un braccio, ma non rinunciò alla missione.
I missionari, oltre ad animare le messe, si recavano personalmente a far visita agli osilesi e proprio nelle case private organizzavanoriunioni ed approfondimenti. Non erano per nulla noiosi e tanto meno saccenti, al contrario dolcissimi, disponibilissimi, spesso divertenti e semplici.
Con il loro modo di fare da un lato rimembravano la grande stagione della religiosità del passato, dall’altro davano vita ad un nuovo sistema religioso meno elitario e più coinvolgente. Erano scevri da personalismi, grazie a loro tutti noi (grandi e piccoli) cisentivamo veramentenon solo figli di un unico Dio, ma ciascuno scopriva la parte migliore di sé stesso.
Il “ camminare insieme” era il loro motto, condiviso da tutti e con tutti.
Una religiosità significativamente autentica avvolgeva il paese, tramutando e aprendo l’impegno di pochi a favore di tutti, soggiogando caste e posizioni intransigenti, aprendo i cuori degli irriducibili.
Anni densi di pathos e grandi insegnamenti quelli che ci hanno regalato. Più che semplici missionari li sentivamo “fratelli, amici, maestri”.. Finalmente la tanto decantata religiosità osilese tornava in vita: e che vita.
Giovanna Elies
Grazie al geom Giovanni Fadda per la puntuale consulenza sul basamento delle Croci.
Note
1)Giovanni Battista Manzella nasce a Soncino (Cremona) nel 1855; viene ordinato sacerdote il 02 febbraio 1893 e assegnato a casale Monferrato per cinque anni come direttore di giovani, seminaristi e novizi. Trasferito in Sardegna nel mese di novembre del ‘900, muore a Sassari nel il 23 ottobre 1937.
2) Fratel Giovanni Bacci, nascead Osilo, da Giuseppe Bacci e Domenica Piana, il 4 luglio 1889, muore a Sassari il 14 ottobre 1972.
Diventato maggiorenne, sceglie la vita monacale, si reca a Genova per entrare nel convento dei frati dell’Immacolata.
In seguito a problemi di salute, non gravi maripetuti nel tempo, è costretto a lasciare Genova, per ritornare in Sardegna.
Accolto nella comunità vincenziana di Sassari, che allora stazionava nel convento di sant’Agostino, resterà come fratello laico fino alla morte.
Fedele servitore e mite accompagnatore di padre Manzella, cercherà almeno per Osilo, di operare e camminare nel sentiero già tracciato e collaudato dal Manzella.