“Il romanzo storico aiuta a non dimenticare, a farci capire l’umanità con i suoi avanzamenti, arretramenti, lacerazioni, crimini. Sta dentro alla mediazione fra gli uomini e la realtà. E’ la cosiddetta prassi dove, per dirla con Gramsci, gli agenti storici e sociali trasformano il mondo rapportandosi al contesto storico in cui agiscono.”– Vindice Lecis
Incontro Vindice Lecis in occasione della prima presentazione del suo nuovo libro “Il Visitatore” edito dalla Nutrimenti nel 2019. Sala piena, col pubblico delle grandi occasioni, lui riesce a coincidere un po’ con tutti, vagando con quello sguardo rotondo e irrequieto come se non si volesse far sfuggire niente della bellezza che lo circonda. Penso che probabilmente abbia quello stesso sguardo quando si addentra curioso nei vecchi vicoli della storia.
Così ci racconta della Sardegna del diciassettesimo secolo che si dibatteva tra le dominazioni straniere e la corruzione dilagante. Quando la vita di tutti, duchi, feudatari e popolo, doveva fare i conti con soprusi, ammazzamenti e intrighi un po’ ad ogni livello.
Si dice che la storia la scrive chi vince, Vindice Lecis ci regala il suo punto di vista, che illumina anche tutte quelle zone d’ombra che chi ha vinto non scriverebbe mai. Di questo, del suo modo di intendere il romanzo storico, e di tante altre cose ci ha parlato, come al solito con dirompente schiettezza, nell’intervista che ci ha gentilmente concesso.
P.B.C.: Buon giorno gentilissimo Vindice Lecis, grazie per la tua disponibilità. Ma prima di tutto ci racconti chi è Vindice in quattro righe? Passioni, sogni, esperienze?
Vindice Lecis: Buon giorno Pier Bruno. Sono giornalista, anzitutto, e autore di romanzi storici e di ricostruzione sui periodi più oscuri anche della nostra Repubblica. Appassionato di storia e ma animato da un forte interesse civile e politico difficile da estinguere. Aggiungo che la mia terra, la Sardegna, è luogo di incontenibile ispirazione letteraria alla quale attingo.
P.B.C.: Che autore sei? Se c’è una cosa che detesto è dare etichette ai generi letterari, o, peggio, agli autori: menomale, perché con te sarebbe piuttosto difficile perché sei abbastanza trasversale ai generi. Mi verrebbe da dire autore storico, perché i tuoi libri sono ambientati nella storia, e perché in ogni tuo libro è evidente un grande lavoro di ricerca storica, appunto. Però autore storico non mi piace, e tu forse non l’accetti; quindi ti chiedo qual è il tuo rapporto con la storia? Cosa la rende così viva nei tuoi libri?
Vindice Lecis: hai ragione, autore storico è nebbioso, ha confini labili e incerti. Diciamo che il romanzo storico ha delle regole che sono rigorose. Io credo che la fantasia possa contribuire a colmare i vuoti della documentazione storica, interpretare, tentare di spiegare i fenomeni e gli accadimenti che, spesso, le carte o la ricerca non riescono a tratteggiare in modo esaustivo. Il romanzo in genere pone dunque nuove domande ma non ha spesso risposte. Diciamo che cerca di avvicinarsi alla verità, relativa naturalmente. Nei miei romanzi sono protagonisti anche gli uomini del popolo evitando ciò che Gramsci contestava, vale a dire quel quell’aristocratico compatimento scherzoso verso chi è sempre stato ai margini. Non si tratta di letteratura di solo intrattenimento, di storie dinastiche ma di ricostruzioni, di indagini, di analisi. Certo anche di avventure e fatti. La storia si fonda su donne e uomini e sulle loro condizioni materiali, sugli arretramenti o le conquiste sociali e civili.
P.B.C.: Hai scritto di tantissime epoche storiche, però mi chiedo se ti hanno appassionato tutte in ugual misura? O c’è qualcuna che ti sembra più di altre una fucina di cultura e di risveglio politico?
Vindice Lecis: Tutte mi hanno appassionato. Certo l’età giudicale è particolare e specifica e a questa ho dedicato una trilogia. Ricca di vicende come quella nuragica. Bisognerebbe indagarne altre: ad esempio il Seicento feudale, o quella strana Sardegna che accoglie col tappeto rosso gli invasori aragonesi nel primo Trecento.
P.B.C.: Allora, ricordiamo di quali epoche ti sei occupato nei tuoi libri, sono così tante che forse è utile un riassunto: partendo dall’ottocento a.c., si va al periodo dell’imperatore Adriano, per poi inoltrarsi verso la fine del cinquecento, ed approdare con diversi libri intorno al dodicesimo secolo. Quindi, l’ultimo, di cui parleremo subito, che è ambientato nel 1600. Ma hai scritto, con tanti titoli, anche di tutto quel periodo, così complesso e vivido, che va dal periodo dalla seconda grande guerra fino ai così detti anni di piombo. Voglio dire: andare tanto indietro nel tempo, oppure raccontare di ieri, porta lo stesso tipo di insegnamento? La lezione della storia, la morale del nostro vissuto, è corrispondente e fondamentale sia per il nostro trascorso più remoto che per quello più vicino?
Vindice Lecis: il romanzo storico aiuta a non dimenticare, a farci capire l’umanità con i suoi avanzamenti, arretramenti, lacerazioni, crimini. Sta dentro alla mediazione fra gli uomini e la realtà. E’ la cosiddetta prassi dove, per dirla ancora con Gramsci, gli agenti storici e sociali trasformano il mondo rapportandosi al contesto storico in cui agiscono. Ma mi viene sempre da dire: attenzione, si tratta solo di romanzi…
P.B.C.: In particolare “Il Visitatore”, pubblicato quest’anno per la casa editrice Nutrimenti, anzi, scusa, tanto tu non lo diresti, il libro più venduto della Nutrimenti in queste ultime settimane, è ambientato nella Sardegna del 1600, e ti ho sentito dire che è una storia attuale…
Vindice Lecis: E’ certo un affresco, spero riuscito, sul Seicento sardo e mediterraneo. Ma è attuale per analizzare la spietatezza del potere e i suoi meccanismi. A partire dalla corruzione.
P.B.C.: Nella presentazione del tuo “Il Visitatore” dici che i riferimenti storici sono reali, autentici, su cui scorre anche la fantasia del romanzo. Come vivi il tuo giocare tra realtà storica e invenzione letteraria? Il Vindice romanziere e il Vindice esperto e appassionato di storia, come convivono senza prendere il sopravvento? Oppure uno dei due sale sul treno dell’altro e si fa trasportare?
Vindice Lecis: La storia non si può cambiare. E io non la cambio né la stravolgo. Il romanzo aiuta e contribuisce a farla conoscere al di fuori dei miti che revisionano e ideologizzano ogni cosa trasformando ad esempio personaggi interessanti come figure depotenziate o bandierine per sfruttarle oggi. Si pone anche un problema su chi sia lo scrittore: ha scritto qualcuno che più ci si immerge tra la gente più si resta umili e permeabili ai dolori e alle sofferenze. Altro che torri eburnee…
P.B.C.: Non lo abbiamo ancora detto, ma questa bellissima storia del tuo ultimo libro è ambientata in Sardegna, come quasi tutti i tuoi libri, e quindi ti chiedo, quanto è importante quel essere isola, nell’economia delle vicende che racconti?
Vindice Lecis: la Sardegna è il mio nutrimento, essenziale. Il luogo delle storie e delle sue contraddizioni spesso feroci. Il contrario del folclore esibito come ideologia.
P.B.C.: Nella storia della Sardegna che tu descrivi nel libro, e che hai studiato e approfondito, i personaggi non sardi sono forse più determinanti dei sardi? Ovvero, in quel periodo, quanto abbiamo scritto noi la nostra storia?
Vindice Lecis: La Sardegna ha vissuto dominazioni che sembravano eterne. Allora mi pongo una domanda la stessa che attanaglia alcuni storici e ricercatori: perché a differenza, ad esempio, della Sicilia che ha vissuto lo straniero – dai bizantini ai normanni agli arabi – come parte integrante della propria evoluzione, in Sardegna invece va avanti ancora l’dea di una “identità ancestrale” per tornare indietro a un vago e indeterminato periodo aureo? Dobbiamo capire le contaminazioni, indagare i fenomeni economici e sociali che le hanno determinate, analizzare lo sfruttamento derivato dalle invasioni e conquiste. I sardi hanno certo resistito, ma molto, moltissimo, hanno collaborato. Da qui le debolezze delle classi dirigenti.
P.B.C.: La genesi di un libro nasce sempre da un fatto incidente, vissuto o raccontato; ovvero da una fonte che sgorga improvvisamente e ti fa nascere un’idea, che ti appassiona e ti travolge, e quasi senza accorgertene diventa una storia. Per “Il Visitatore” questa sorgente potente che è diventata fiume, cosa è stata?
Vindice Lecis: quando una ricercatrice abilissima, Angela Simula, mi ha fatto conoscere i documenti inediti di un processo legato al naufragio di una gigantesca nave commerciale partita da Alicante e finita dopo una terribile tempesta a Porto Conte d’Alghero. Una storia viva e straordinaria che mi ha spinto a collegare tanti fili sparsi.
P.B.C.: Vorrei lasciare a te la chiusura, sperando che tu generosamente la lasci al tuo libro, con una frase significativa che vorresti condividere coi lettori di “OUBLETTE Magazine”.
Vindice Lecis: Penso che dallo scrittore non si debba aspettare “la linea”. Va rispettato nella propria autonomia. Ma allo stesso tempo deve essere capace di trovare ispirazione dal confronto continuo e dai bagni nella realtà. I guru, quelli che scolpiscono sentenze e scagliano anatemi, lasciamoli alla cattiva politica.
Pier Bruno Cosso