Osilo.
Osilo è una sorta di roccaforte di storia, persone, attività, mode, vestiario, pensieri, atteggiamenti che in un caleidoscopio mostrano la loro intrinseca bellezza ed importanza. Forse per questo Enzo Espa,negli anni che furono,, saliva ad Osilo a piedi, respirava e godeva il panorama e poi scrutava le tante peculiarità. Per questo pubblicò su l quotidiano locale, allora ” La Nuova Sardegna” un racconto, sul finire degli anni Settanta ( 8 ottobre 1978) che riassume ” sa fache” di Osilo e principalmente delle donne di Osilo. Scrisse infatti ” Le generose donne di Osilo”. Racconto che va a rimarcare quel particolare stato di matriarcato tipico del nostro paese( molto simile a quello di Karpathos) ma anche e soprattutto quell’atteggiamento di familiarità che le grandi feudatarie di Osilo usavano a piene mani..Oggi, a distanza di tanti anni, quel racconto docet. Giovanna Elies
Osilo: la pandemia.
Rivolgo spesso lo sguardo dalla mia stanzetta di casa verso la cima della collina di Bonaria, dove da secoli sta silenziosa e oggi purtroppo quasi abbandonata la specifica chiesetta della Madonna, che in questi giorni particolari io invoco con la bella preghiera un po’ diffusa in paese; “…Ti supplichiamo, nostra grande patrona, allarga le tue braccia materne dal colle di Cagliari al Tuffudesu di Osilo e abbraccia tutti i tuoi figli dell’isola sarda…”. Sappiamo come queste siano giornate particolari e difficili. Il silenzio avvolge anche Osilo come non mai, in modo quasi incredibile e impensabile e le strade sono completamente deserte. Il cielo nella sua irregolarità e nella continua stranezza sembra quasi partecipi alla realtà amara che stiamo vivendo. Tutti obbligatoriamente chiusi in casa, ma uniti spiritualmente, e desiderosi di valorizzare lo stare con la famiglia, pur se quasi terrorizzati per una pandemia che sta avvolgendo tutta l’umanità. E la nostra patria in modo specifico, creando nella popolazione tanto timore e paura, ma anche speranza.
È un virus maligno e invisibile che sta facendo comprendere all’uomo tutto il suo limite e l’estrema sua fragilità esistenziale. Quasi ci chiediamo: dov’è o uomo, tutta la tua boria e autosufficienza, nel desiderio più o meno inconscio di voler eliminare dalla tua vita un Dio di cui ormai quasi non senti più bisogno? Un Dio che forse non hai più il coraggio di pronunciare con le tue labbra pur in un languido balbettio? Sappiamo che Dio è misericordia, e quindi che anche questi momenti così terribili dobbiamo saperli intendere nella dimensione del suo amore. Per la verità, umanamente parlando, possiamo anche ribellarci e affermare che questa amara realtà che oggi stiamo vivendo, potrebbe essere conferma di un Dio inesistente o lontano, o dimentico di noi. Certo non riusciamo a comprendere, nella nostra limitatezza, il disegno misterioso di Dio, ma sappiamo che Dio è amore per noi. E tutto è frutto di questo Amore.
Allora possiamo pregare: aiutaci, Dio, a comprendere Te, nella nostra finitezza. Aiuta gli scienziati a procedere nella ricerca, e nello scoprire in questa situazione il modo di debellare al più presto il virus nefasto. Allo stesso tempo aumenta la nostra fede, sapendo che tra scienza e fede c’è un rapporto reciproco, nel rispetto dell’una per l’altra, e che tutto è frutto dell’amore divino.
Noi crediamo alle tue parole evangeliche, e in tutta povertà ascoltiamo: “Chiedete e vi sarà dato, bussate e vi sarà aperto”. Certo noi non sappiamo cosa e come dobbiamo chiedere. Insegnacelo Tu, anche in questa situazione. Intanto noi sentiamo di dover supplicarti: liberaci da questo male, da queste sofferenze e angosce. Dona a tutti serenità, pace e salute, superando l’ansia, lo stress e quasi la psicosi che ci attanaglia. Crediamo che possiamo inoltre ripetere le parole evangeliche: “Sia fatta la tua volontà”. Certo l’uomo deve fare tutto quello che è in suo potere e deve compierlo in libertà e fiducia.
Rivolgiamoci sempre alla donna che Dio ci ha posto davanti, e che come patrona può intercedere per noi; continuiamo anche a contemplare simbolicamente la chiesa di Bonaria, mentre invochiamo Maria SS con tre titoli particolari che ad Osilo sono di casa e tanto comuni: Immacolata Concezione, Vergine del Rosario , Madonna di Bonaria prega per noi. Mon. Antonio Loriga
LA SETTIMANA SANTA OSILESE
La Pasqua come il Natale ha preso il posto con l’avvento del Cristianesimo delle feste pagane.
La Pasqua trova origine nell’attività agraria, infatti la cultura contadina identificava nell’equinozio di primavera la rinascita dalla morte invernale. La Chiesa ha tradotto il solstizio d’inverno nella Natività di Gesù.
Gli ulivi e le palme benedette, simbolo della benedizione per le famiglie erano custodite con grande rispetto, sia in casa che in campagna. A questa domenica era inoltre legata la credenza popolare che se pioveva il grano non maturasse (Liperi Tolu, Osilo, 170). Altra tradizione legata sempre al grano era quella di piantare “Sos Sepulcros”, erano piatti in cui si erano piantati grano, o altri legumi fatti germogliare al buio venti giorni prima della Pasqua. Il giovedì Santo venivano portati in chiesa per addobbare l’altare del Sepolcro; da qui il termine “Sepulcros”. Dopo pasqua, veniva portato in campagna e sotterrato in segno di buon augurio. Questa tradizione, sempre legata al ciclo agrario, traeva la sua origine da una tradizione pagana che erano i “Giardini di Adone” secondo l’antica mitologia greca. Adone era un giovane bellissimo, destinato però ad essere ucciso in modo prematuro. Le dee Afrodite e Persefone si erano innamorate di lui, Persefone dea degl’inferi gelosa della prima mandò un cinghiale che uccise Adone e ne consegnò il corpo alla dea. Dal Sangue del giovane pare siano nati gli anemoni. Le donne greche ogni anno elevavano un lamento funebre intorno al Sepolcro del giovane addobbandolo con fiori e con “giardini” grano fatto germogliare al buio (CAREDDA GIAN PAOLO, Pasqua in Sardegna, 37 – 40). Il popolo riteneva inoltre che bisognasse acquistare un abito nuovo almeno a Pasqua, altrimenti al suo passaggio la Pasqua avrebbe sporcato gli sporchi e rispettato i puliti. Antica usanza abbandonata ormai da anni è quella di mandare il Sabato Santo al suono delle Campane a Gloria i bambini a battere con le mani nei contenitori del grano “sos orrios” recitando tre Credo, come segno di buon auspicio per l’annata.
Antichi strumenti di legno erano classici di questi giorni santi infatti dal Gloria del Giovedì Santo le campane venivano legate e non suonavano fino al Gloria solenne della Veglia Pasquale. Erano strumenti di origine spagnola ed il loro uso vuol essere un simbolo di crescita primaverile legato, naturalmente, al mito agrario. “Sa Razzula, sa matracca, su mattraccone” erano gli strumenti usati per segnalare al popolo le funzioni religiose. “Sa Razzula”, era formata da una ruota dentata con manico e da una tavoletta che, ruotando attorno alla prima, produceva rumore. “Sa matracca”, costituita da una tavola di legno con incavo per l’impugnatura, in ogni facciata aveva due anelli attaccati solo ad un lato così che agitando la tavola producevano rumore. “Su matraccone”, identico a “sa matracca”, era di dimensioni più grandi ed aveva però bisogno di due persone per essere agitato (CAREDDA GIAN PAOLO, Pasqua in Sardegna, 37 – 40). Questi strumenti venivano suonati per l’Ave Maria del giovedì e venerdì santo, per avvertire il popolo della processione dei dolori, per la funzione della Passione e per avvisare il popolo della paraliturgia “de S’iscravamentu” e alle nove del sabato santo per la “veglia” Pasquale.
LA CONFRATERNITA
I “registi” della grande Settimana Santa erano i confratelli di Santa Croce, spettava loro svolgere e tramandare le funzioni, gesti, parole e canti legati al patrimonio della Confraternita trasmessi di generazione in generazione in maniera orale e mai se non in alcuni rari casi in maniera scritta.
La domenica delle Palme la confraternita partecipava alla funzione delle Palme nella chiesa Parrocchiale, prima però si era già svolto nell’oratorio la recita privata dell’ufficio solenne cantato. La domenica non si svolgevano riti particolari. Il lunedì e martedì Santo in alcuni centri si svolgevano la processione dei Misteri e dei Dolori della B. V. Maria.
Il giovedì Santo dopo la celebrazione dell’Eucaristia, svolgevano il rito “de s’Incravamentu” rito che ricordava la Crocifissione di Gesù. Le statue per questo rito erano custodite nell’oratorio della confraternita e processionalmente venivano portate in parrocchia per il rito.
L’indomani mattina Venerdì Santo, si svolgeva la processione dell’Addolorata che veniva portata in sette chiese diverse in cui venivano meditati i sette dolori della beata Vergine, si recitava il Rosario intercalato dai versetti dello “Stabat”. A mezzogiorno la processione giungeva alla chiesa parrocchiale dove la Vergine trovava il figlio inchiodato alla Croce, iniziava allora l’azione liturgica della Passione del Signore, e alle cinque del pomeriggio il Rito “de S’iscravamentu” cioè, il discendimento del Cristo morto dalla croce, opera compiuta da due confratelli nei panni di Giuseppe D’arimatea e Nicodemo. Alla “scena” partecipavano tutti i confratelli e dei bambini piccoli che fungevano da Angeli, erano “delegati” di portare alla Vergine Addolorata la corona di spine e i chiodi. La predica del discendimento era affidata al Quaresimalista che per tutta la quaresima aveva tenuto le omelie al popolo. Terminato il rito si svolgeva la processione del Cristo morto per le vie del Paese accompagnato dal canto del “Miserere” dello “Stabat” e dai “Gosos” canti a quattro voci che con la loro cadenza sottolineano e accentuano, con le lunghe pause, che diventano tempo musicale, la mestizia della processione. La processione compie il suo tragitto fino ad arrivare alla Chiesa di Santa Croce dove ha luogo la predica della sepoltura e il corpo del Cristo viene riposto in una cassa detta appunto, sepolcro. Così terminavano le funzioni del venerdì. Il Sabato, prima della riforma, al mattino si celebrava la Veglia Pasquale e l’indomani domenica alle dieci del mattino la processione “de S’incontru”. Le due processioni quella del Cristo e quella della Vergine partivano da due Chiese diverse per incontrarsi nella piazza antistante la Parrocchia dove dopo tre inchini la Madonna “cambiava abito” toglieva il manto nero e indossava il bianco della festa, a questo punto le due processioni si univano e nella chiesa parrocchiale si svolgeva la Messa del giorno di Pasqua. Mons. Dino Pittalis