La Nostalgia
È il 1688, quando l’alsaziano Johannes Hofer disserta la sua tesi di laurea in medicina che riporta un titolo che sa novità: Dissertatio medica de nostalgia. Il suo lavoro di futuro medico è il frutto di una intuizione nata indagando sulla salute di alcuni soldati svizzeri che soffrivano per la lontananza delle loro case, delle loro famiglie e dei luoghi di provenienza. Il fenomeno non era del tutto sconosciuto alla medicina, ma assumeva nomi diversi, a seconda della nazione di provenienza del medico; questo inestinguibile desiderio di ‘casa’, veniva chiamato Mal du pays in Francia, Heimweh in Germania, Homesickness in Gran Bretagna. Hofer propose di sostituire quel rosario di nomi con un termine in qualche modo universale e scientifico. Poiché il male che attanagliava i soldati svizzeri era legato alla lontananza, propose di utilizzare le parole greche nòstos (ritorno) e algia (dolore). Nacque così il neologismo nostalgia, che è, a mio parere, uno dei migliori parti linguistici che non solo colma un vuoto scientifico, ma dona ai nostri ricordi un che di magico, di suggestivo. La cura suggerita dal giovane Hofer era semplice e intuitiva: ritornare nei luoghi di provenienza e ritrovare le persone che avevano causato quel profondo senso di prostrazione e di struggente solitudine che attanagliava chi ne era colpito.Molti hanno pensato che la ‘cura’ fosse legata al ritorno in patria e nei luoghi amati, ma non sono pochi a ritenere che il ritorno può creare anche delusione per ciò che si è sognato a lungo, ritenendo di ritrovare tutto esattamente come la propria memoria lo ha conservato. Fra i primi va annoverato Immanuel Kant che nell’”Antropologia dal punto di vista pragmatico” spiega che i luoghi rimpianti non rimangono immutati aspettando immobili il ritorno e quasi mai corrispondono ai ricordi. Il filosofo tedesco spiegò che il luogo d’origine può anche essere rimasto immutato e coincidere coi ricordi, ma tornandovi il nostalgico si accorgerà che è cambiato il suo io: il luogo che ha finalmente a portata di mano resta comunque irraggiungibile ed è questa disillusione a farlo rinsavire. Ammoniva più di recente Agatha Cristhie: «Non tornate mai in un luogo dove siete stati felici. Se non lo fate continuerà a vivere dentro di voi, ma se tornate, l’incanto sarà distrutto per sempre.» Tutte queste disquisizioni sulla nostalgia non fanno altro che dimostrarne la forza evocativa, tutti i significati e i risvolti più profondi dell’animo umano che quello straordinario neologismo del 1688 porta con sé.Ripensando a tutto quanto ha ruotato intorno alle motivazioni che hanno portato il dottor Hofer a coniare il termine ‘nostalgia’ si ha quasi l’impressione di mettere sul tavolo anatomico i nostri più cari ricordi, il legame affettivo con il nostro passato, e con i luoghi dell’infanzia e le persone care.Mentre guardo la foto della corriera che collegava Sassari con Osilo, trovata per caso in una scorribanda senza meta nella rete, la mente scatena un miscuglio di sensazioni, che allungano le radici nella mia lontanissima infanzia. Ricordo i miei viaggi sui tornanti che mi avvicinavano a quello che era il Paese nativo di mia madre, le scorribande nelle campagne intorno alla zona di “Su prunu” e di “Bevegalzu”. Vedo immagini che avevo seppellito sotto la dura scorza dell’età; mi sono sentito quasi soffocare da un passato felice fra i filari della vigna ai piedi del paese di Osilo che, nelle fantasticherie di bimbo, era una morbida coperta avvolgente la montagna. E sentivo zia Antonina che accarezzava l’aria calda del mese di settembre con il suo melodioso canto sardo, quando si raccoglieva l’uva da gettare i su laccu, dove insieme a un piccolo gruppo di bimbi aspettavo ansioso i succulenti grappoli per “cattigarli” e trasformarli in liquido che ruscellava da una cannula che sporgeva sul fondo. E tutto avveniva con il sottofondo canoro di tzia Antonina chi teniat una ‘oghe melodiosa e tottu aiscultabant chena tunciare. Unu risu, unu cantu e su manzanu passaiat in allegria. Il mio mare, talvolta, si materializzava nella fontana di “Su prunu”, dove non disdegnavo bagnarmi per mitigare il caldo estivo.Guardo la foto, e sono a bordo della corriera e scruto il paesaggio che scorre nel finestrino. Alle volte, con mio cugino Salvatore, possessore di una rombante Seicento e più grande di me di dieci anni, mi arrampicavo lungo le curve che conducevano a Osilo, ed era un tour piacevolissimo di visita a parenti che offrivano affetto, simpatia e prodotti genuini. Ero un bambino che, come tutti i bambini, vedeva il mondo con le lenti della fantasia, e, inevitabilmente, quel paese inerpicato su un monte, con in cima i resti di un castello, non poteva che evocare racconti fantastici di re, principesse, streghe e lotte estenuanti contro il ‘male’ che cerca di avere il sopravvento su fate ed eroici cavalieri. Erano sogni di bambino, spesso foraggiati dai racconti di mamma, grande dispensatrice di fiabe pescate nella ricca tradizione sarda e con la capacità affabulatoria nella quale le donne erano maestre. E mi raccontava, quella mamma maestra di sogni, di imprese di cavalieri, di principesse e di piccole fate che vivevano nei monti. E io le immaginavo scrutare le campagne dall’alto del monte da cui dolce vigilava la Madonna di Bonaria o vigilare e proteggere chi quei campi li coltivava e li amava, come solo sa fare chi dalla terra trae il suo sostentamento. E l’immagine della corriera, troppo vecchia anche per me, mi trascina in un dolce abisso di ricordi, affollato di volti amati che sapevano infondere serenità e sicurezza, e mai avevano posto freni ai sogni dei bambini. Sognare era parte integrante dell’educazione del nostro travagliato dopoguerra e dei mitici anni Cinquanta, e maestre di questa educazione, che riteneva fondamentale che i bambini praticassero il fantastico senza vergognarsene, erano le mamme e le nonne. Se la ‘nostalgia’, di cui si sono occupati, da Hofer a Freud, illustri analisti e minatori dell’inconscio, riesce magicamente a farci accarezzare i momenti della nostra vita trascorsa nei quali siamo stati felici, non possiamo che dare torto a chi come Agatha Christie ritiene che ogni sguardo verso il passato sia un errore, perché ci mostra una realtà che non esiste più. Faccio mio quando ha dichiarato Svetlana Boym, docente di letterature slave e comparate nell’Università di Harvard: «La nostalgia è un sentimento di perdita e spaesamento, ma è anche una storia d’amore con la propria fantasia.»
Gianni Avorio