Giorgia l’eroina turritana dell’XI secolo
È cognito che la Sardegna, per la sua strategica posizione al centro del Mediterraneo, fu sempre oggetto di brama da parte dei dominatori del mare. Conquistata da punici, fenici e romani e, dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente e la blanda soggezione a quello di Bisanzio, lentamente, nella sua isolata realtà, per propria virtù, l’isola si era data un ordinamento giuridico indipendente che ancora oggi costituisce oggetto di studio e di ricerca da parte degli storici.
Così, fin prima del mille l’Isola tirrena si reggeva con una forma propria di governo a capo del quale era il “giudice” con poteri sovrani e, nei primi lustri del secolo XI, essa entra nel gioco della grande lotta europea: la Sardegna si trova divisa in quattro piccoli stati con governi indipendenti, in ognuno dei quali il “giudice” accentra a sé poteri civili e militari.
Posta questa premessa l’attenzione converge verso il regno turritano, ed è facile intuire quale fosse, a seguito delle drammatiche situazioni determinate dalla tempesta saracena, il grado di estrema insicurezza che preoccupava quei “giudici”, tanto da sentirsi costretti ad abbandonare Torres, la loro capitale, e, spinti dal fato, approdare ad Ardara dove un’antica struttura poteva accogliere la cancelleria “giudicale”.
Secondo gli storici, Comita-Gonario I e sua sorella Georgia furono i primi reggitori ad operare nella nuova capitale, posta al centro del Logudoro e quindi lontana dai nemici che infestavano i mari isolani.
Non furono molte le figure femminili di quel tempo capaci di destare curiosità ma troviamo lungo la via della storia, la sorella di detto “giudice”, Georgia di Torres, verso cui si volge il nostro interesse, anche per l’alone di mistero e di silenzio che la circonda. Il condaghe della fondazione della basilica di San Gavino fa menzione di questa principessa (Jorgia) la quale “fetit sa corte de sa villa de Ardar. Ka tantu in totta Sardinia non si agatat domo qui esseret de calchina, si non esseret ponte over ecclesia. Et custu casteddu de Ardar fuit su primu casteddu chi si fetit in Sardinia”, e che a spese proprie fece edificare la cappella palatina di Ardara. A giudizio dello storico Giovanni Spano, per quanto concerne invece il palazzo regio, ella non avrebbe fatto che ampliarlo.
Noi proprio in questa struttura immaginiamo di vedere Donna Georgia, che stando alle cronache doveva essere una principessa d’indole virile ed eccezionale che provvedeva al disbrigo di molte faccende politiche del “giudicato” poiché suo fratello Comita-Gonario, fragile e malaticcio (pare fosse affetto da lebbra), l’aveva designata sua reggente.
Questa donna divenne come una mitica sovrana e risulta attendibile quanto di lei si narra. Georgia di Torres e così leggendaria tanto da esserle riconosciuto il mistero che la avvolge; la sua singolare capacità non può che essere pienamente ravvisata nella stupita meraviglia da cui nasce la sua leggenda. Nessun poeta di quei tempi cantò mai il suo volto e le sue gesta, eppure nessuna esistenza come la sua fu tutto un inno eroico in difesa del piccolo regno turritano.
Invincibilmente, nel rievocare questa grande eroina dell’anno Mille, vien fatto di pensare alle donne guerriere della Bibbia. Anch’essa, per amore di suo fratello e del suo regno, lascia la spola per la spada, anch’essa è fiera e grave e anch’essa obbedisce a un senso religioso che si riallaccia alle radici del suo popolo e della sua terra.
Anche il paesaggio in cui si muove questa eroina è di sapore biblico: Il Logudoro di quei tempi, terra di pastori e di sognatori, dai malinconici orizzonti e dalle solitudini inviolate, ha in sé il segno del tormento ma anche di una forza ineluttabile.
Sono da ricordare i venti di guerra che iniziarono a soffiare dalle fredde montagne galluresi: Baldo di Gallura col suo agguerrito esercito bramava di conquistare il “giudicato di Logudoro.
Nell’austera e patriarcale reggia di Ardara si spandeva e si respirava quella semplice dignità regale che non aveva bisogno di fasto per splendere sovrana e, Georgia di Torres, entro questo ambiente, non temeva la dura vita del combattente e l’esaltante ora del rischio. Il destino le suggeriva e le imponeva di lottare ed essa virilmente accettò.
Un ignoto annalista ci suggerisce che Donna Georgia fu “una forte femina qui issa curriat mandras et raccugliat sas dadas” e infatti lasciate le mandrie e i raccolti i dadi gettati dal nemico, cedette il passo alla combattente.
A capo del suo esercito, dopo aver lasciato le pianeggianti distese del Logudoro Donna Georgia giunse ai piedi del castello di Monte Acuto, posto in posizione dominante, di grande importanza strategica per il controllo della linea di confine col “giudicato” di Gallura. La ferrea condottiera turritana, condusse una cruenta battaglia e portò con sé prigioniero Baldo, l’usurpatore di Gallura, catturato assieme a suo figlio Goffrido e a molti altri, e fece rinchiudere i vinti nemici nei sotterranei della fortezza di Ardara.
Narrato questo episodio, di Georgia null’altro ci è stato tramandato, la leggenda si impadronì di lei. Per secoli nella solitudine delle selvagge campagne del Logudoro si favoleggiò, negli ancestrali canti, il suo nome, le sue gesta e la sua spada fatata con la quale sgominava i nemici. Simbolo della sua gente, Georgia è però lambita dal silenzio, si ignora la fine della sua esistenza ma rimane di lei un indelebile ricordo, come la sua terra rosea di asfodeli e cupa di boschi e di rocce. La immaginiamo come le donne isolane vestite con i loro regali costumi e il volto velato da un’ombra di mistero.
Francesco Tedde