Mia madre, una storia vera.
Primo marzo 1910, Lauria Inferiore, piccolo comune abbarbicato alle falde della catena montuosa del Pollino, che separa la Basilicata dalla Calabria. Rosa, sposata a Domenico, stringe tra le braccia la prima figlia fatta nascere in casa. E’ femmina, quindi avrà il nome delle nonne. Uno è facile, Anna; l’altro è più complicato perché comincia a sapere di antico: Petronilla. Ma Rosa, che di Petronilla è figlia, non intende rinunciare adottando un qualunque altro nome. Così prova a inventarsi un diminutivo e ne viene fuori Pietrina.
Anna Pietrina vive solo pochi anni a Lauria. Quando il padre trova un posto alla gestione delle strade della prefettura di Potenza, la famiglia si trasferisce e va a vivere a Pignola, il paese più vicino a Potenza. Lì muore Rosa e nella vita di Anna Pietrina, che ha un fratello, Peppino, al quale resterà legata per tutta la vita, entra la matrigna Maria. Matrigna proprio come nelle descrizioni più nere delle fiabe, tanto che l’amatissimo fratellino, a 14 anni, viene spedito in Brasile con una coppia di conoscenti.
Pietrina frequenta con grande passione le scuole elementari. Ama le poesie, la lettura, la scrittura, gli animali, in particolare i cavalli. Tra i banchi conosce un ragazzino, Luigino, di un anno più grande, che le piace subito. Non sa ancora che diventerà suo marito. Per entrambi gli studi non vanno oltre. Crescono insieme, non si perdono mai di vista, il legame è così forte che cominciano a pensare di sposarsi. Ma Luigino non ha lavoro e siccome è determinato a costruirsi un futuro e a non rimanere con le mani in mano decide di emigrare in America. Pietrina gli promette che appena si sarà sistemato lo raggiungerà.
Il sogno americano di Luigino di spezza a Napoli. Al controllo sanitario gli riscontrano una congiuntivite e gli impediscono di partire. Luigino rientra a Pignola ma solo pochi mesi più tardi sceglie un’altra terra di emigrazione, solo apparentemente più vicina: la Sardegna. E’ il 1934, il regime fascista ha disposto l’elettrificazione dell’isola e occorre manodopera. Primo impiego: palista. Luigino parte da solo come un esploratore di terre sconosciute e rimane folgorato. Torna a Pignola, sposa Pietrina, le dice che sta per trovare una sistemazione e che come sarà pronto ad accoglierla le chiederà di raggiungerla. Passano poche settimane e Luigino trova casa a Sindia, in Planargia. Telegrafa e Pietrina non fa alcuna obiezione: è immediatamente pronta a partire.
Il padre, Domenico, è restio perché non vuole che la sua primogenita affronti da sola quel lungo viaggio ‘oltremare’. Così decide di accompagnarla lui stesso. In calesse fino a Potenza, poi in treno fino a Napoli, quindi la traversata. Una vera impresa per chi ha sempre vissuto tra monti, pascoli, sentieri, strade campestri, i piedi ben piantati al suolo. La nave ci impiega quasi due giorni per arrivare a Terranova. Padre e figlia non chiudono occhio perché non sono per nulla tranquilli su quella specie di grande bagnarola che va su e giù sulle onde.
All’arrivo nel porto di Terranova, Luigino si fa trovare sul molo con l’abito indossato per il matrimonio. Accoglie con un abbraccio la sposa, saluta rispettoso il suocero il quale, cedendo ufficialmente al genero l’incarico di tutela della figlia adorata, si ferma lì per riprendere, quella stessa sera, la nave che lo riporterà indietro.
Luigino e Pietrina raggiungono in treno Sindia. Pietrina, dal finestrino, comincia farsi un’dea dei colori, dei profumi, della vegetazione, degli animali di quella terra così diversa dalla sua. A Sindia la prima grande sorpresa. Luigino non solo ha provveduto a trovare una casetta accogliente, ma ha anche preso accordi con una donna del posto, Maria Giuseppa, perché facesse da da interprete e non solo – oggi la definiremmo una mediatrice culturale – per la cara mogliettina.
Pietrina, che in Basilicata ha vissuto la dura vita della figliastra costretta a fare i lavori più pesanti senza alcun riconoscimento, scopre in quell’angolo di mondo una forma di vita sconosciuta: il rispetto e il riconoscimento per il ruolo sociale svolto dalla donna in una comunità agropastorale. Non se ne dimenticherà mai più.
L’elettrificazione dell’isola prosegue seguendo la dorsale centrale. Così, dopo Sindia, la tappa successiva è Bonorva dove nasce il primo figlio maschio, degli altri cinque che verranno al mondo nell’isola. Dopo Bonorva, Barumini, quindi Monserrato e finalmente Cagliari. Qui Pietrina scopre cos’è una città e se ne innamora follemente, tanto che neppure i terribili bombardamenti aerei del febbraio e del maggio del ’43 la scoraggiano. Anzi ha in progetto, con quel che sono riusciti a risparmiare, di prendere in gestione un Sali & Tabacchi della via Liguria, angolo via Molise. Ma Luigino, che nel frattempo è stato richiamato alle armi e lavora come elettricista nell’aeroporto militare di Monserrato, è talmente spaventato dalle bombe e dalla propaganda fascista la quale ancora parla di possibile vittoria, che poco prima della caduta del regime (25 Luglio) e dell’armistizio (8 Settembre) prende i quattro figli vivi, moglie e masserizie e ritorna in Basilicata con grande dispiacere di Pietrina, la quale nel suo peregrinare mette al mondo altri tre figli, uno in Basilicata, due in Calabria, uno solo dei quali sopravvive alle malattie che in quegli anni uccidevano come mosche i più piccoli.
Quando sembra che tutto si sia definitivamente stabilizzato nella sua vita, lo sconvolgimento avviene a causa di un’altra tragedia. Luigino, colpito da infarto, muore. E’ il 1963. Pietrina piange lo sposo, lo seppellisce nel paese calabrese nel quale ha perso la vita, e da quel momento in poi il pensiero fisso diventa quale futuro, culturale e sociale, progettare per i cinque figli. Elabora il lutto per alcuni anni, alla fine si rende conto che è la Sardegna la terra che corrisponde agli ideali vissuti e costruiti fino allora. Così decide di fare il percorso inverso a quello deciso da Luigino vent’anni prima. Presi ancora una volta figli e masserizie imbarca tutto e tutti per Cagliari, la sua città del cuore. Riesce a viverci altre trent’anni, durante i quali, potendo riallacciare i rapporti con il mai dimenticato fratellino decide di andarlo a trovare in Brasile. Così, ad oltre 80 anni, accompagnata da una figlia va a riabbracciare il suo Peppino che vive a San Paolo dove, dopo aver fatto il sarto per tutta la vita, trascorre serenamente la sua pensione insieme con figli e nipoti. Si ritrovano e rivivono i momenti di assoluta intimità della loro infanzia.
Così Pietrina conclude serena, circondata dagli affetti, un’esistenza avventurosa della quale è sempre stata protagonista, anche quando non ha voluto contrastare decisioni prese da altri.
Ottavio Olita