Lia Careddu: per un teatro di condivisione e coinvolgimento
Ha vissuto i tre mesi di ‘chiusura’ – così preferisce chiamare il periodo di quarantena forzata e generalizzata, invece di lockdown – adattandosi rapidamente alla nuova vita imposta dalle misure di lotta alla diffusione dell’epidemia. Allontanati dalla quotidianità figli e nipoti, costretti a loro volta a restare chiusi nelle loro abitazioni, Lia Careddu ha provato all’inizio una sensazione di panico, soprattutto per l’improvviso silenzio causato dall’assenza dei bambini e della loro chiassosa vivacità. Poi, pian piano, quello stesso silenzio ha cominciato ad apprezzarlo e a decidere di riempirlo. Come? Con la passione che caratterizza da sempre la sua vita professionale: il teatro.
Costretta, come tutti, a cancellare i programmi con conseguenti gravi danni economici soprattutto per chi non era contrattualizzato, si è concentrata sulla ricerca e sullo studio rimanendo sorpresa, stregata, da una scoperta: il teatro greco contemporaneo. ‘Corrisponde esattamente alla mia attuale idea di teatro’ si è detta e non si è limitata all’ammirazione, ha anche cominciato a costruire idee per progetti futuri ragionando sul fatto che l’emergenza può indurre a ridurre eccessi e ridondanze. Un utilissimo, forse necessario ritorno all’essenziale, proprio come avvenne alle origini delle sue scelte.
A Siurgus Donigala non perdeva mai quegli appuntamenti con la poesia portata in piazza, al popolo, per merito delle gare poetiche, tradizionalmente organizzate nell’ambito delle feste per il santo patrono. Era una forma di coinvolgimento e partecipazione che, non se ne rendeva ancora conto, avrebbe condizionato tutto il suo modo futuro di concepire e fare teatro.
Teatro che in forma molto amatoriale aveva stregato anche sua madre – originaria di Suelli -, che, nonostante fosse stata costretta a fermare gli studi alla quarta elementare, impossibilitata, come tanti allora, a proseguire, trovò un modo d’impegnarsi con altri giovani del paese nella recitazione. E – Lia lo ricorda con infinita tenerezza – il dramma scelto aveva un titolo del tutto particolare ‘La zingara del Volga’.
Costruito nella quotidianità familiare l’indissolubile legame con la cultura sarda, la sua maestra delle elementari l’aveva anche guidata nella conoscenza di una parte della letteratura italiana: la poesia. ‘Ci faceva imparare a memoria tanti testi e io credo che quel metodo sarebbe molto utile ancor oggi perché non solo ti costringe ad uno studio rigoroso, ma ti spinge a capire, ad interpretare, a rappresentare’.
L’approccio con il teatro professionale avviene a Cagliari. Segue con profitto un corso di recitazione nel quale acquisisce anche le basi di quella dizione del tutto particolare che la contraddistingue: precisione, forza, dolcezza, senza mai cadere nel birignao.
Il debutto è un trionfo. Il Teatro di Sardegna mette in scena un testo fondamentale per la costruzione di una drammaturgia sarda, ‘Su Connottu’ di Romano Ruiu e Francesco Masala. Viene inserita nella compagnia per la competenza che dimostra nella lingua, nel canto e nel ballo sardo. La ‘prima’ viene messa in scena nella piazza Satta di Nuoro e si conclude con ovazioni, spettatori che desiderano saperne di più, che si accalcano sotto il palco. E’ l’inizio della carriera di questa grande attrice capace di coniugare, senza differenze e difficoltà le due culture di cui si sente portatrice: la sarda e l’italiana. ‘Le custodisco entrambe, gelosamente’, sottolinea.
“Come ‘Su connottu’ è stato il punto di partenza, devo anche dire che ‘Paska Devaddis’ di Michelangelo Pira ha rappresentato per me un vero spartiacque, prima nella versione originaria di radiodramma trasmesso dalla Rai, poi nella trasposizione scenica” dice Lia che attribuisce all’incontro con l’opera di Pira l’acquisizione di una nuova misura di profondità, nella sostanza e nella forma, di un teatro che non ha difficoltà a definire di matrice sardo-greca, o greco-sarda.
Il progressivo, continuo sviluppo dell’interesse per il teatro, spinge gli organizzatori a ipotizzare anche il decentramento. Nasce così quel circuito che allarga, ben oltre le città capoluogo, la possibilità per gli amanti del teatro di assistere a spettacoli, a volte di grande spessore.
“L’attenzione, l’interesse e la partecipazione di spettatori diversi da quelli cittadini a rappresentazioni che spesso avvengono in luoghi o sedi improvvisate, è una dimostrazione, per noi attori molto gratificante, di una spontaneità, di una disponibilità, di una voglia di partecipazione entusiasmanti” a cui a volte, prosegue Lia, “si aggiunge, a seguire, un’ospitalità indimenticabile”.
Condivisione e coinvolgimento anche con i colleghi e con tutte le maestranze a cui Lia non dimentica mai, anche nel nostro incontro, di rivolgere un forte ‘grazie’. Quei colleghi e quelle maestranze con cui a volte avrebbe voluto condividere maggiormente alcuni lavori che non hanno avuto un sufficiente numero di repliche. Come ‘Nozze di Sangue’ o ‘Quasi Grazia’ il testo dedicato da Marcello Fois a Grazia Deledda.
“Responsabilità ed onestà verso il pubblico e verso i testi che porto in scena”, questo lo spirito guida di Lia che sa trasferire sul palcoscenico, nei suoi personaggi, l’umanità che è capace di osservare – e vuole farlo – nella quotidianità. Così non è mai la finzione fine a se stessa a vincere, ma il racconto dei diversi aspetti della vita.
Come la vita di tutti i giorni, anche il teatro dà la possibilità di intense relazioni interpersonali – e qui risiede la forza della compagnia, del gruppo – ma anche di un rapporto diretto, personale, individuale con il pubblico “che hai il dovere di rispettare e di non deludere, come avviene con i monologhi”.
Lia, che ha sempre amato fortemente il teatro corale, è anche cosciente dell’importante funzione di trasmissione di emozioni, cultura, sensazioni che si assolve nel proporsi individualmente agli spettatori.
Grande personalità, grande presenza scenica; ma com’è la Lia giù dal palcoscenico? Come tante prime attrici si sente diva, cammina un palmo da terra e si mostra un po’ snob negli incontri?
Quando le ho telefonato per chiederle un appuntamento per poterle parlare e poi raccontarla in questo ritratto, mi ha risposto affettuosa ed affannata. Era alla cassa del supermercato dopo aver fatto la spesa ed era in attesa del suo turno per pagare. Mi avrebbe richiamato. Così come, quando la incontri per strada, a piedi, è serena, vestita con semplicità, cittadina in mezzo a tanti altri cittadini.
Ma come fa a dividersi? Giù dal palcoscenico è immediata la sua trasformazione? La sua risposta è emblematica. E’ la dimostrazione di come questa attrice abbia costruito la sua grandezza scenica sul suo essere una grande donna, di un’umanità rara.
“Quando scendo dal palcoscenico io ho bisogno, dopo aver incontrato amici, spettatori, aver ascoltato i loro giudizi, di una pausa di riflessione nella quale ripercorro quello che ho fatto, con le mie soddisfazioni e i miei errori. Ma poi tutto finisce lì, lì si ferma, nella piena coscienza che devo separare quel mio modo di essere dalla vita vera, che è un’altra cosa”.
Ottavio Olita