Sardegna: segni e simboli della nostra civiltà.
Nella realtà reale, individui che considerano la Sardegna oltre i canoni della villeggiatura ne esistono ancora, se pur pochi. Franco Laner, Professore Ordinario di Tecnologia dell’Architettura presso l’Università degli Studi di Venezia IUAV, pur amando la sintesi paesaggistica della nostra isola ha rivolto le principali attenzioni a tutti quei segni e simboli che, dalla preistoria fino ad oggi ci rappresentano. Racconta dunque di noi, di ciò che ci lega ad un remoto passato, che ancora vive pur sotto forma di “resti”.Per Laner, tutti i segni sparsi nel territorio danno l’idea precisa di sistemi di civiltà, autoctoni o no, comprensivi di sistemi di vita, di continue ricerche, di obiettivi raggiunti, di conquiste rispetto alle procedure. Raccontano le nostre credenze, i nostri sogni e speranze.In essi si concentrano elementi di grande intuizione tecnologica e concettuale “…Basta avere la capacità -scrive Laner- di togliere lo spessore della polvere che i secoli hanno depositato, sotto questa coltre appare la novità, la temerarietà e la capacità di chi ha osato”.Praticamente “unu istranzu”, uno che dovrebbe scegliere la Sardegna solo per diporto, viene invece a ricordarci che, rimuovendo il velo di foliggine che si deposita sui simboli del passato, sia possibile capire quanto i nostri progenitori fossero determinati, capaci, temerari, innovativi e presenti nel territorio. Doti che oggigiorno sono finite alla fonda.Che sia ’istranzu non è certo un demerito, anzi, che si debba aspettare che sia un forestiero a mettere a fuoco alcune cose, lo é. Tranne pochi arditi studiosi ben noti, la maggior parte dei sardi ha considerato i nostri più importanti segni, i nuraghi, come ammassi di pietre: tanto è vero che percorrendo a bassa velocità la Carlo Felice, non si vede altro che interi muretti a secco realizzati con pietre riconducibili a costruzioni nuragiche.Così come sono rimaste nella memoria popolare le lotte e gli alterchi “sas brigas” della studiosa Ginevra Zanetti, con quelli che trovava in una sorta di “flagranza di reato”, ossia mentre demolivano piccoli Nuraghi per destinare le pietre ad altri usi. Ciò nonostante, non si ha notizia di alcun tipo di interrogazione in Regione, né pregressa né attuale che riconduca a reati di manomissione di Beni storici e pubblici.La scoperta dei Bronzi di Riace ha fatto sussultare mezzo mondo.La scoperta dei Giganti di Monte Prama è quasi passata “insalutata ospite” . Accade!I nostri “pezzi” di antiquariato, altro non sono che i più alti segni della nostra civiltà ma “lo stato attuale dei monumenti che il tempo e le manomissioni dell’uomo falsificatore anche quando dice di restaurare, rendono difficile la lettura del testo originario”. In effetti i danni degli interventi sono sotto gli occhi di tutti; solo che noi sardi osserviamo e facciamo finta di non vedere, mentre altri si soffermano, osservano, studiano e parlano, come giustamente deve essere. Ciò che stride è che le osservazioni e le indagini vengano fatte da persone che amano la nostra terra più di noi nativi.Dovremmo sicuramente tenere in conto, suggerisce Laner “la sacralità dei gesti e le attenzioni sottese al suo orientamento”. Importanti punti di riferimento congelati nei nuraghi e sottolineate dalle nicchie spesso presenti che “riconducono alla nascita del sole nel solstizio estivo e al tramonto nel solstizio invernale”. Entrambe “si trovano sullo stesso asse inclinato di 58°”. Gli studi e le ricerche del prof. Laner sono ben conosciute, documentate e apprezzati qui da noi, principalmente per le modalità innovative di condurre una indagine e quindi di indagare i misteriosi segni del nostro passato. Eppure questa nostra Sardegna che avrebbe tanto da raccontare, nonostante tutti i nostri sforzi, continua a essere in pole position per il mare, le coste uniche e meravigliose, le discoteche e quant’altro, ma non riesce a catturare l’attenzione mediatica per la nostra storia, la vita vissuta, i retaggi, i segni e i simboli di un’antichità unica, spettacolare ed insuperabile. I viaggiatori tra ‘700 e ‘800, a volte, ne hanno esaltato le peculiarità ma senza una vera e propria immersione nel contesto, soffermandosi a mettere in evidenza ciò che pensavano fosse retaggio di inciviltà, e non invece effetti di smisurata povertà. Mantenendo sempre una vera e propria dimensione di chi, elitario, viaggia principalmente per noia e non per sete di conoscenza.Infatti spesso la narrazione si riduce ad una mera relazione su attività folcloriche, usi e costumi locali, accompagnati da espressioni di meraviglia per chi. Non così per qualche altro viaggiatore, tra cui spicca la figura di Max Leopold Wagner etnologo e linguista, innamorato dell’isola e della sua espressione linguistica il quale attraversa tutta la Sardegna a piedi e in bicicletta per capire e scoprire i segreti di un lessico, non solo esclusivamente autoctono, che grazie a lui vive ancora. Molto più tardi, nell’ultima parte del ‘900 Blasco Ferrer, filologo e linguista spagnolo, approda in Sardegna e in qualità di docente di Linguistica Sarda presso l’Università di Cagliari concede definitiva dignità e struttura al nostro lessico.Dunque benvenuti i forestieri, “benennidos sos istranzos”.
Giovanna Elies
Fonti:
– Franco Laner: “Il tempio a pozzo di Santa Cristina”, ed. Adrastea, 2004; “Sardegna preistorica, dagli antropomorfi ai telamoni di monte Prama”, ed. Condaghes, 2011;
– Max Leopold Wagner: “DES, Dizionario Etimologico Sardo”, ed. Heidelberg, 1960-64;- Eduardo Blasco Ferrer: “La lingua sarda contemporanea: grammatica del logudorese e del campidanese, norma e varietá dell’uso, sintesi storica”, Cagliari, ed. Della Torre, 1986; “Storia linguistica della Sardegna”, Tübingen, ed. Niemeyer, 1984.