Il visitatore – Vindice Lecis (Nutrimenti – 2019)
Ma questa è tutt’un’altra storia!
È la storia che non ti aspetti, quella che non è mai entrata nelle tavole colorate dei libri di scuola. È la storia che non fa testo, è la storia che non pensavi che esistesse, perché quando hai letto delle grandi battaglie, o delle imponenti dominazioni, normalmente non ti sei fermato a domandarti dov’era il popolo in quei frangenti.
L’ultimo libro di Vindice Lecis Il visitatore (Nutrimenti 2019) invece ti dà queste risposte. Anzi, al contrario, solleva una serie di domande.
Sfogliando le pagine di questo bel romanzo storico ti chiedi se sia il popolo che determina i grandi avvenimenti, o se li subisca soltanto. E prima ancora, e con maggiore stupore, ti chiedi perché non ti eri mai fermato ai piedi di un dubbio così rivoluzionario.
Forse solo perché, come ben si sa, la storia la scrivono i vincitori, che normalmente non raccontano le vessazioni o le atrocità consumate per quella vittoria. E non raccontano del sacrificio del popolo degli ultimi, e delle loro gesta da comparsa, spesso molto poco eroiche, ma di servizio per i grandi eventi storici. Ci hanno sempre mostrato solo la bellezza del risultato della conquista, il gesto eroico accattivante, il vantaggio sociale delle rivoluzioni. E quelli che stanno più indietro? Quelli che la battaglia è durata un’ora perché la prima fucilata li ha stesi senza che nessuno se ne accorgesse? Quelli che avevano paura, e non ci volevano andare, ma erano lì? E quelle che sono state vittime di prepotenze e vessazioni dei potenti, che impegnati a scrivere le grandi pagine di storia, non avevo registrato neppure i loro nomi? E quelle che tessevano in uno scantinato umido, o facevano il pane di notte per i potenti, o si prostituivano per restare attaccate alla vita?
Ma allora, la storia ha sempre una sua puzza di morte e di miseria?
Il libro di Lecis ha anche il grande pregio, appunto, di farti inciampare, e spesso cadere, su tutte queste domande.
La sinossi ufficiale del libro forse dice meno di quello che veramente si ritrova nelle pagine.
La struttura portante racconta di un grosso vascello stracarico di merce preziosa che per un brutto fortunale naufraga nella baia di Porto Conte, vicino ad Alghero. Siamo nel 1606 in piena dominazione spagnola, quando tra i potenti di turno, di stanza in Sardegna, si scatena una guerra sui diritti del recupero del ricco bottino affondato con la nave.
L’altro episodio su cui è strutturato il libro avviene l’anno dopo a Cagliari, dove un esponente dell’alta nobiltà si sospetta che abbia fatto avvelenare la moglie, per sposare solo tre mesi dopo, la figlia del viceré del regno di Sardegna, mirando forse al suo grande patrimonio.
In questo clima degradato di corruzione dilagante, dal nord al sud dell’isola, re Filippo III di Spagna invia in Sardegna un suo uomo di potere e fiducia, Il visitatore, appunto, che si mette alacremente all’opera istruendo una sessantina di processi, e rimuovendo un’intera classe di ministri, per combattere il malaffare.
I fatti da cui prende spunto il romanzo sono storici. Vindice Lecis ha il grande merito di averli riesumati dai vecchi documenti impolverati, e ricostruiti con un grande lavoro di studio e un bel supporto di fantasia. Così ha dipinto l’intera vicenda con freschezza e credibilità, popolandola con tanti personaggi e con variopinti episodi che aleggiavano nella sua anima seicentesca. Diciassettesimo secolo inventato che si innesta nel diciassettesimo secolo reale come un affluente al suo fiume.
E l’innesto crea un flusso continuo che non ti chiedi quale pagina sia storia, e quale fantasia, anche perché non avrebbe senso, tanto son ben amalgamati i due elementi.
Del resto Vindice Lecis ce l’aveva spiegato molto bene nella bellissima intervista concessa alla presentazione del libro (che era uscita su queste stesse colonne qualche settimana fa): «Io credo che la fantasia possa contribuire a colmare i vuoti della documentazione storica, interpretare, tentare di spiegare i fenomeni e gli accadimenti che, spesso, le carte o la ricerca non riescono a tratteggiare in modo esaustivo. Il romanzo in genere pone dunque nuove domande ma non ha spesso risposte. Diciamo che cerca di avvicinarsi alla verità, relativa naturalmente».
L’ambientazione è soprattutto in Sardegna, tratteggiata coi colori dell’epoca. È viva, palpitante, fotografata in presa diretta, e non ingiallita in vecchie cartoline.
E, come dicevo, a dominare la scena non sono tanto i potenti o gli oppressori, ma gli oppressi. Tanto che andando avanti nelle pagine del Visitatore ti ritrovi, quasi senza essertene accorto, a rileggere la cronaca dell’epoca dal basso verso l’alto. Ti ritrovi magicamente a capire che il tuo punto di osservazione è dalle ultime file. La storia è sempre quella, ma ripresa da una telecamera che va a curiosare nelle prigioni puzzolenti, nei vicoli dove ti possono pugnalare per un pezzo di pane, o nelle taverne malfamate coi postriboli al piano di sopra. E allora, se la guardi così dal fondo, la storia è completamente diversa.
Per spiegarmi farei l’esempio della gita scolastica in pullman. Quelli bravi, forse secchioni, pupilli dei professori, che determinano l’andamento della classe, si siedono nelle primissime file. Gli altri, quelli che è un giorno guadagnato, che è un’occasione buona per fare casino, si installano nelle ultime poltroncine. Poi fanno tutti la stessa strada, arrivano tutti alla stessa meta, ma hanno visto una storia completamente diversa. Il tragitto è quello, ripeto, ma hanno trascorso emozioni, visioni e frammenti di vita completamente differenti.
Vindice Lecis ci racconta la storia dall’ultimo strapuntino del pullman. Dove ci sono quelli che fanno chiasso, magari bevono, o amoreggiano, e si dividono o si fregano l’ultimo panino. Poi, lo sappiamo bene, la relazione della gita in pullman la scriveranno diligentemente quelli seduti in prima fila al fianco dei professori. Giusto per confermare che la storia la scrivono i vincenti.
Qui no, se vogliamo, in questo senso Il visitatore è un libro rivoluzionario. Quello che ti sorprende è che il romanzo ha l’autorevolezza della storia scolastica, ufficiale, mentre ti incuriosisce con le vicende di piccoli uomini e piccole donne che sono grandissimi, meravigliosi, nell’arte di sopravvivere tra guerre, battaglie con le navi corsare, e potenti che li considerano meno dello sgabello su cui poggiano il sedere.
Uno di questi personaggi, Gavino, che parte dal fondo più basso della peggiore prigione per cercare riscatto, l’autore lo racconta così: “Per Gavino la lealtà era un lusso che non poteva permettersi. Il suo traguardo era stare all’ombra di chi deteneva potere e ricchezza” (pag. 103).
Così il libro di Lecis va dritto sulle tante storie di quelli solitamente dimenticati dalle cronache ufficiali, con una forza narrativa sorprendente. Normalmente penseresti che le vicende più appassionanti siano solo quelle di potenti e generali, e invece no, invertendo il punto di osservazione si scopre tutto un fiorire di storie vere, autentiche, che ti tengono incollato alle pagine.
Come lo scrittore aveva orgogliosamente dichiarato (sempre nell’intervista che dicevo prima): «Nei miei romanzi sono protagonisti anche gli uomini del popolo evitando ciò che Gramsci contestava, vale a dire quel quell’aristocratico compatimento scherzoso verso chi è sempre stato ai margini. Non si tratta di letteratura di solo intrattenimento, di storie dinastiche ma di ricostruzioni, di indagini, di analisi. Certo anche di avventure e fatti. La storia si fonda su donne e uomini e sulle loro condizioni materiali, sugli arretramenti o le conquiste sociali e civili».
E infatti l’autore ce li mostra senza quel “compatimento gramsciano”, con semplicità immediata, senza fronzoli, senza nessuna retorica. Loro sono lì, che vivono, anzi, che sopravvivono a stento, che sono normali nell’incredibile, che si devono inventare qualche cosa, qualche sotterfugio, qualche furberia, o se serve, anche qualche cosa di non convenzionale o non lecito.
Dritti lì, vivi come sono loro, e ti accorgi che non ti affezioni a loro, perché non sono inquadrabili coi soliti schemi, ma ti rendi conto che nutri per loro una grande assoluta simpatia.
Pier Bruno Cosso