Reclusione da Coronavirus: i ricordi come evasione
“Nicola, che stai facendo?”.
“Come al solito, a quest’ora, sono alle prese con il Sudoku quotidiano”.
“Beh, allora non è così importante. Puoi lasciare e venire su, in mansarda? Rimettendo in ordine sto vivendo emozioni dimenticate. Dai, vieni. Non ti anticipo niente. Voglio che anche tu ti sorprenda”.
“D’accordo, Gaia. Inserisco nella griglia un altro numeretto e vengo su”.
Un gradino dopo l’altro, lentamente, come la sua età poteva permettergli, arrivò in mansarda. Gaia lo stava aspettando di spalle. Come sentì che era arrivato al piano si voltò di colpo “Dà dan! Guarda quanta roba per farci ricordare che prima di smartphone e tablet avevamo rapporti molto più intensi, più affettuosi, più partecipati” e gli mostrò un pacco di cartoline ricevute negli anni. Riga, Vilnius, Vienna, San Pietroburgo, Parigi, Madrid, Barcellona, Portogallo. Tutte datate e firmate, con una frase, un pensiero, un saluto dei mittenti. Nicola si sedette e cominciò a leggere nomi e date, provando di volta in volta sorpresa o emozione, impegnato in una sorta di storicizzazione delle amicizie, prassi che purtroppo le nuove tecnologie hanno ormai cancellata. “Emozionante, vero?”, gli chiese Gaia. “Almeno a questo potrà servire la clausura imposta dal coronavirus. Un impiego del tempo molto più significativo di quello perso con cruciverba, rebus e tutta l’enigmistica. Dopo che avrai completato la tua immersione nelle immagini, ti passerò questo gruppo di lettere. E le sorprese aumenteranno!”. Amici dimenticati, relazioni costruite sulla base di conoscenze occasionali e purtroppo lasciate cadere, messaggi di parenti che da qualunque angolo del mondo volevano rendere compartecipi della loro gioia, della loro allegria. E con le immagini dei luoghi tornavano alla mente i volti, le voci, i sorrisi degli scriventi. Ancor più forte, intima, commovente fu la reazione alla lettura delle lettere ritrovate da Gaia. Non riuscì a trattenere le lacrime quando aprì un foglietto a righe, con una scrittura irregolare, sgrammaticata, ma piena di affetto di due vecchietti di Burgos, il paese in cui viveva prima di trasferirsi a Cagliari. Zio Francesco e zia Peppina, informati che stava per affrontare il primo esame universitario, di Geografia – sapevano anche quello – gli inviavano, con lettera raccomandata recapitata alla Casa dello Studente i loro auguri e le loro preghiere perché prendesse un voto alto. ‘Come meritava’. La lettera era del giugno 1967 e per un miracolo, forse per la forza d’amore che conteneva, s’era custodita intatta. Altra commozione, questa volta divertita, quando lesse le letterine di auguri per qualche compleanno delle due figlie. Giulia, 8 anni, gli dichiarava il suo affetto, ma anche che c’era una cosa che le piaceva meno, il fatto che era ‘un po’ cicciottello’. Mimma, 12 anni, che scrivendogli più e più volte del suo affetto, lo accusava di una certa freddezza quando, perso nei suoi pensieri, non le dava abbastanza retta. E poi la lettera filosofica di un suo storico amico, del 1987, nella quale, dopo aver spiegato perché noi diamo più valore a un biglietto da mille lire che a dieci monete da cento lire, trasferiva questa sua riflessione sulla qualità e quantità dei rapporti tra le persone, tra gli amici. Non si ricordò se a quella lettera avesse mai risposto. ‘Se fosse ancora vivo – si disse con un crampo allo stomaco – lo farei adesso’. Ogni tanto percepiva le risate o i sospiri di Gaia che contemporaneamente faceva la stessa cosa. Passarono due ore. Arrivò l’ora del pranzo. Gaia gli si avvicinò mentre era ancora perso ad inseguire ricordi. “Io vado giù a preparare qualcosa da mangiare. Tu non intristirti troppo”. “No, tesoro. Non voglio rattristarmi. Voglio che tutto questo diventi una lezione di vita. Quando questa quarantena sarà finalmente finita riprendiamoci le amicizie, gli affetti, i rapporti dimenticati o trascurati. E quando potremo viaggiare di nuovo spediremo tante cartoline, sapendo bene che sono pagine semplici, immediate, elementari di storia, della nostra storia”. Ottavio Olita
Riflessioni forse poco interessanti di uno scrivano in quarantena su cose, persone, luoghi e affini.
Nell’immaginario collettivo lo scrittore è quasi sempre visto come un personaggio romantico e bohemienne, sempre in cerca di nuove emozioni e spunti letterari nelle più svariate occasioni… poi c’è chi s’immagina i poeti sempre con il naso all’insù puntato alla luna e altri ancora, additano lo scrittore come antipatico, scostante, solitario e chiuso nella sua stanza a scrivere sul mondo… beh forse alcuni sono così… immagini… tutto qui, forse frutto di romanzi ben scritti. Romanticherie. Scrivere è complicato… e scrivere in quarantena lo è ancora di più. Se vi fate un giro su infernet, non avete letto male; infernet, tutto si muove molto velocemente, tutti continuano a farsi vedere, a postare le foto dei luoghi che hanno visitato e che vorrebbero rivedere… o soltanto ri-fotografare… mi è capitato, tempo fa, di andare in un luogo appena fuori Alghero, litoranea per Bosa, ci andai per guardare un tramonto… Sì un tramonto, oltre a saggi storici, romanzi e via dicendo, scrivo anche poesie e i tramonti sono la sussistenza… comunque, me ne stavo lì sulla ringhiera del ponte di Calabona, così si chiama, e lì ho assistito a delle scene raccapriccianti, per lo meno per me, donne che arrivavano sparate in macchina, parcheggiavano e senza guardare il mare facevano una foto o un selfie per poi ripartire sgommando. Uomini sudati che facevano finta di correre, per poi scendere sugli scogli ed atteggiarsi con un segno di Ok in bilico sopra una roccia solo per una fotografia… tutto normale penserete voi, sì, forse per il 2020 sì… ma la poesia? Cioè, il rumore del mare, il vento, le nuvole che passano veloci in lontananza, un luccichio di un pesce… una fottutissima barca a vela che taglia il sole quando sta per immergersi in mare… sì penserete voi, che palle! Ma ragazzi miei… quella è la vita reale… Anche Salgari nei suoi racconti era più reale di quelle persone lì, sapete? Lui non viaggiava molto, ed una delle sue frasi più famose era: Scrivere è viaggiare senza la seccatura dei bagagli… Ma almeno lui aveva una grande immaginazione… Vedete, la vita, ce ne siamo resi conto in questi giorni, è imprevedibile… fino a ieri toccavamo le mani ed i corpi delle persone, andavamo al bar per un caffè, andavamo a lavoro, chi ce l’aveva, ed ora, invece… tutti a casa, a combattere un male ed un nemico invisibile… Una guerra silenziosa contro un fantasma chiamato Covid 19. Ma almeno in guerra uno decide… cioè, o combatte per la patria, o diserta, o diventa partigiano. Qui nessuno ci ha messo a decidere niente… e poi, ci sono anche i complottisti, loro un po’ mi fanno tristezza… l’esercito cinese ha creato il virus… la massoneria, i servizi segreti americani, gli israeliani hanno il vaccino ma aspettano il via dai Rockfeller che a loro volta lo aspettano dagli Illuminati… la natura, forse questa la più plausibile, si è ripresa i propri spazi… ora, può essere tutto e niente… purtroppo non siamo tutti scienziati. Sappiamo solo una cosa, che per sconfiggere questa cosa dobiamo stare a casa e tutto andrà bene… per lo meno questo è il mantra… comunque… sì, in questo momento vorrei essere davanti al mare abbracciato ad un amore in attesa di un tramonto… ma questa è un’altra storia. Massimiliano Fois, 4 aprile 2020
La Vita
La Legge delle Polarità regola la vita, di cui possiamo fare esperienza solo per opposizione. Così non conosceremmo la salute, senza la malattia; il bene, senza il male; il giorno, senza la notte; la materia, senza l’antimateria e via dicendo… Non conosceremmo la Vita, se non avessimo esperienza della Morte; e noi diciamo che la morte è l’opposto della vita, ma non è una definizione completa, perché ciascuna è causa efficiente dell’altra (in senso stretto la morte si oppone alla nascita, non alla Vita)… La Vita potrebbe intendersi come uno Stargate, come un Portale, da cui si entra e si esce, con un transito continuo. Ma il senso di una porta non è quello di restare aperta; non è quello di restare chiusa; ma di potersi aprire e chiudere, sempre, all’occorrenza. Allora non c’è opposizione : c’è transito. È come il mare che circonda l’Isola, la separa, ma al tempo stesso la collega. Se ne potrebbe dedurre, alla fine, che se la vita e la morte non si spiegano l’una senza l’altra, non sono le due facce di una stessa medaglia : sono la stessa cosa. Se si riesce a dare all’esistenza una connotazione più ampia della fisicità a cui siamo legati; se ci sentiamo parte attiva e pulsante di una Vibrazione Universale, come avviene per ogni corpo astrale, allora c’è mutamento, creazione; ma l’Energia non si annichilisce : si trasforma.Come l’unione non si spiegherebbe senza la disunione, ma l’una non cancellerà mai l’altra e, riflettendoci, è essenziale che sia così, per l’equilibrio di un rapporto, così, nell’Universo fisico, la Vita resta un evento di congiunzione e separazione continua : questo è il senso del Divenire. Ma resta sempre e solo Vita, che non cesserà Mai. Gian Carlo Lucchi