NOSTALGIA
L’archivio della memoria è sempre ordinato, quand’anche frammentario, mai caotico; quel poco o molto che si ricorda è lì, nitido e preciso, non solo per ciò ch’è stato, ma per come si presenta. Può dirsi una sospensione temporale, poco importa se breve, nel momento che rivivi rientri in quel tempo, sei fuori; senti l’identico profumo di allora e la tua macchina del tempo, la mente, ti riproietta una vicenda solo tua, come le emozioni che ti turbano e avverti un vago sapore di nostalgìa, tenero e dolce.
Una sintesi essenziale da non diluire altrimenti, cedendo alla china della malinconia, gommosa e scivolosa come i sedimenti di un’acqua ferma, stanca di scorrere, avvolta nel silenzio.
Assaporo quel tempo del primo dopoguerra ampiamente scomparso grazie alla mutevolezza delle forme, la fluidità della scienza, la caparbietà umana del rifare… ma com’era bello Monte Urpinu ancora verso gli anni ’50, per me curioso e solitario, sebbene deturpato in alto dalle cinte delle torrette d’artiglieria, meta finale e solita dei Carabinieri a cavallo, nel percorso monotono e consueto! Oggi viale Europa, un po’ pomposo, lungo e largo anonimo come l’asfalto…
Furono i miei anni di silenzio, di Cagliari ferita, delle favolose Scuole Riva in piazza Garibaldi, delle commissioni per la famiglia; tanta lunga strada sempre a piedi ovviamente. All’orto botanico verso San Giovanni, dal lattaio a ritirare la lattina, con inciso il cognome, la più gradita, il pane con la tangente di una focaccia tiepida lungo il tragitto e l’omertà materna.
Ma il massimo del pensabile era la bottega del salumiere in via Paoli. Il signor Norando era sempre sorridente dietro il suo banco al centro d’una processione d’insaccati e un’apoteosi di profumi (c’era sempre una fettina per l’assaggio). L’igiene era protetta da due strisce di carta moschicida adesiva, con profumo fra il miele e lo zucchero e una costellazione di insetti a far da cavia… favoloso quel tempo in cui eravamo tutti più poveri, ma per questo più ricchi d’inventiva, di speranza, di sogni anche e per i bimbi nascevano, spontanee come l’erba, le amicizie “per sempre”.
“Come passa il tempo!” diceva alla sera, frequentemente mio padre, segnato dalla guerra, ed io non lo capivo e forse mancavo di discrezione chiedendogli spesso di raccontarmi ancora della Battaglia di Punta Stilo, dove lui era imbarcato sul Cesare, nave Ammiraglia della Regia Marina, colpita da un’ogiva da 381!
Volarono quegli anni troppo in fretta, mentre tutto cambiava, nostro malgrado. Avvennero tante cose e le mie scelte mi portarono lontano, anche se giunto dal Mare a soli due anni e mezzo nell’Isola, la Sardegna fu la mia terra d’elezione, non per le stupende spiagge, ma per le scontrose scogliere e le bianche grotte di Cala Luna, entrambe simbolo fisico della sua gente. Mantenni casa a Sassari e fui lieto di poter leggere sul giornale, in epoca più recente a mio riguardo: “ora risiede ad Alghero, ma a Sassari è legato il suo cuore ed era vero”.
Proprio lì ebbi in una tarda mattinata primaverile degli anni ’80, una folgorazione a cavallo di una Gilera che sonnecchiava in garage e amava il sole. Non fu ridondante come quella di qualche tempo prima, sulla strada di Damasco, occorsa a Saulo di Tarso, col balenìo delle luci come lame e tutto il resto… ma provai un acuto tuffo al cuore mentre m’inclinavo sulla destra in un tratto nuovo di una circonvallazione urbana mai percorso prima perché transennato per anni, dalle parti del Canopoleno. Frenai di colpo trovandomi di fronte ad un muro bianco, curvo con grande vetrata sopra cui campeggiava l’insegna: “NORCINERIA”! Incredibile ma vero.
Scesi ed entrai. Ma ché ci fa un norcino a Sassari? In una posizione così stramba. Quanto potrà durare? A Norcia erano una leggenda che si perdeva nel Medioevo; veri artigiani specialisti nella lavorazione delle carni di maiale (secondo la tradizione entravano in gioco fra il giorno di S.Andrea, 30 novembre e quello di S. Antonio Abate, il 17 gennaio ed erano altamente considerati). Lo sguardo di questo era severo, struttura imponente con abbondanza di volume. Ovviamente ogni taglio solo con la lama affilata di un coltello, da ammirare prima di gustare e un sortilegio di profumi e di implosioni intime della memoria. A suo modo era un esploratore, forse tardivo, ma con la tempra del pioniere, per la prima volta in Sardegna, felice della scelta.
A memoria durò un paio d’anni. Andavo sempre a trovarlo, se arrivavo in licenza e avvertii gradualmente un senso di tristezza inevitabile. Non lo vidi più e mai seppi di lui.
Ma a lui, il Norcino, dedico questa breve sosta della memoria, perché fu audace e coraggioso e controcorrente al dilagare dei supermercati, iperbolici oggi. Osare, se col cuore è sempre un merito.
Sì, sono persino stanco di parlarne, di confrontarmi. Siamo quelli della “postverità”, dell’inganno permanente, della solitudine.
Ci vorrebbe una transizione di fase, un vettore di sintesi che portasse per scelta la moltitudine a risuonare fra sé e sé. Un fenomeno collettivo come avviene al sorgere dei grandi movimenti sociali, dove la sicurezza del singolo non conta più di fronte al disfacimento dell’insieme. È accaduto, talvolta nella storia dell’umanità.
Ora che gli anni pesano mi sorprende accorgermi, con la mia bambina, che troppo spesso dico: “Come passa il tempo”!
26 maggio 2020 Gian Carlo Lucchi