I segni della miniera negli Uomini, nella Storia, nella Cultura
Oltre cinquecento milioni di anni orsono cominciò a formarsi il grande mosaico rappresentato nella carta geologica della Sardegna (fig. 1). In una superficie di 24.000 Km quadrati sono riunite testimonianze di tutte le ere geologiche e i diversi colori non sono un capriccio del disegnatore, ma distinguono i più diversi tipi di rocce sedimentarie, metamorfiche ed eruttive. Sono anche rappresentati, con linee rosse, gli effetti dei movimenti tettonici (piegamenti e faglie – fig. 2) che ne hanno variato l’assetto originario nel corso dei tempi.
Il professor Vardabasso, eminente geologo, scrive nei suoi libri: “ Partecipe e superstite di tante vicende, la Sardegna documenta con le sue rocce, che hanno sopportato l’ingiuria dei tempi, uno dei più affascinanti capitoli della romanzesca Storia della Terra e della Vita.”
All’interno delle formazioni rocciose si insediarono giacimenti minerari di varia natura che l’uomo sin dai tempi più remoti imparò a “coltivare” (termine utilizzato in miniera nel senso di estrazione sistematica).
L’attività mineraria iniziò circa nel V millennio a. C, con la coltivazione delle Ossidiane, un materiale lapideo utilizzato per ottenere armi ed utensili, presente in grosse quantità nel Monte Arci in provincia di Oristano dove esistono i resti di antiche cave e numerosi punti di lavorazione. Tale materiale veniva esportato anche in diverse aree del Mediterraneo.
L’attività prosegue con lo sfruttamento dei minerali di piombo, argento e rame e si sviluppano la mineralurgia e la metallurgia in diverse aree dell’Isola. E’ dal secondo millennio a. C. che gli uomini nuragici coltivarono il rame e lo stagno; non conosciamo chi fossero questi uomini. Immaginiamo dalla varietà di bronzetti solo quali sembianze avessero, ma ci hanno lasciato i poderosi villaggi, pozzi sacri con la presenza dell’acqua, una eredità di grandi opere di ingegneria che suscitano stupore negli studiosi e nei visitatori.
Popoli diversi si interessarono ancora ai nostri giacimenti. Altri uomini si insediarono in Sardegna, i fenici in principio lungo le coste per approdi commerciali, ma si interessarono anche dell’aspetto minerario soprattutto dei minerali di piombo, argento, ferro e rame. In una iscrizione fenicia rinvenuta nella città di Nora appare il nome di “tarsis” indicante “miniera-fonderia-città di miniere (Giovanni Lilliu). Ai fenici fecero seguito i cartaginesi che occuparono la Sardegna prima di essere sconfitti dai Romani nel 238 a.C..
Fu un periodo di sviluppo delle attività minerarie e fusorie. Era terribile essere nemici di Roma, infatti i Romani adibivano al duro lavoro minerario i condannati o prigionieri di guerra, i cosidetti “damnati ad metalla”. Anche due Papi, Ponziano e Callisto subirono la dura prova della miniera.
Alla caduta dell’Impero romano, l’attività mineraria in Sardegna viene quasi dimenticata per diversi secoli.
In pieno medioevo, quando venne smembrato il Giudicato di Cagliari, al conte Ugolino della Gherardesca fu affidato il Sigerro e tutte le aree minerarie dell’Iglesiente. A questo conte pisano ben noto per i riferimenti danteschi nel cap. 33° dell’Inferno con “la bocca sollevò dal fiero pasto” si deve un vigoroso rifiorire dell’attività mineraria. Il conte Ugolino fa di Villa di Chiesa, l’attuale Iglesias, una città fortificata, dotata di una zecca nella quale battere moneta con l’argento estratto nei giacimenti disseminati nelle formazioni carbonatiche dell’Iglesiente dove abili minatori scavarono innumerevoli fosse per la coltivazione della galena, minerale di piombo con elevato contenuto in argento che gli abili fonditori del tempo recuperavano con facilità.
L’approccio al giacimento avveniva con scavi che avevano inizio in superficie e si approfondivano man mano che si trovava minerale utile.
I minatori del medioevo scavarono centinaia di “fosse” calandosi all’interno mediante funi. La fig. 3 illustra una fossa in cui è evidente l’incisione operata sulla roccia dallo scorrere della fune trainata su e giù dall’uomo. Mediante la stessa fune il minatore, dal fondo della fossa, risaliva in superficie portando, in particolari sacche, la ricca galena.
La fig. 4 illustra schematicamente l’accesso al sottosuolo e il sistema di abbattimento della roccia.
In esse sono stati ritrovati lucerne, utensili vari e persino una clessidra ma soprattutto sono state ritrovate tante testimonianze sui metodi di abbattimento della roccia, che allora avveniva con l’utilizzazione del fuoco. Si accendeva infatti un grande falò in vicinanza della parete rocciosa da abbattere e, quando la roccia diventava incandescente, si lanciavano dei secchi d’acqua che disgregavano la roccia stessa, rendendone più facile l’abbattimento con il piccone. Alla base di alcune gallerie è stato ritrovato materiale combusto che si è conservato sino ai nostri giorni.
La corretta conduzione del grande sviluppo della attività mineraria richiese ferree norme che vennero raccolte in quello che fu uno dei più completi codici medievali: il BREVE DI VILLA DI CHIESA.
Nei primi anni del 1300 la signoria di Ugolino volge al termine e in periodo spagnolo l’attività mineraria viene quasi completamente dimenticata sino alla fine del ‘700 quando a sostenere i lavori della miniera vengono adibiti 200 condannati che ogni giorno, incatenati, facevano un tragitto di alcuni chilometri prima di essere avviati al lavoro in galleria. Ma fu dalla metà dell’800 che l’attività mineraria in Sardegna iniziò quello sviluppo che portò l’Isola all’attenzione dei capitali del Continente e di vari paesi europei. I minerali ricercati e coltivati erano minerali di piombo, zinco, argento, antimonio, rame, manganese, ferro, carbone ecc. Iniziarono l’attività miniere come Montevecchio, Monteponi, Masua, San Giovanni, Buggerru, Ingurtosu, Monte Narba, Argentiera, San Leone e tantissime altre. Le maestranze superarono le 10.000 unità guidate da tecnici il cui valore era riconosciuto in ambito internazionale.
Ricordiamo personaggi e alcune delle grandi opere di ingegneria realizzate.
Alcuni personaggi
Dopo il 1850 molti personaggi che avevano ricoperto ruoli di rilievo nelle vicende che precedettero l’unità d’Italia e per i quali si erano venute a creare condizioni di particolare rischio nelle regioni del Continente, vennero nella nostra Isola a lavorare nelle miniere.
Il Generale Giuseppe Galletti (1798 – 1873), patriota e cospiratore, deputato nel 1831, condannato politico nel 1845, amnistiato nel 1848. Generale dei Carabinieri e Ministro di Polizia, nel 1849 fu Presidente della Assemblea Costituente Romana, creata a seguito della proclamazione della fine del potere temporale della Chiesa. Nel 1851, forse per intercessione del ministro Cavour, divenne direttore della miniera di Monteponi, e della miniera di Montevecchio.
L’ingegner Giulio Keller (+ 1877), un nobile ungherese, esule per aver partecipato ai moti liberali del Kossuth. Keller, che aveva avuto numerose esperienze in miniere ungheresi e tedesche, venne in Sardegna nel 1850 e fu direttore delle miniere di Montevecchio e della miniera di Monteponi. Il ministro Quintino Sella lo chiamò “Il Nestore degli ingegneri mineralogici della Sardegna”.
Enrico Serpieri (fig.2.22), nato a Rimini nel 1809, amico di Mazzini, di Garibaldi e di Cavour, collega del Galletti nella stessa Assemblea Costituente Romana. Il Serpieri, a Rimini, per essersi armato di pistola e aver preso d’assalto la carrozza di un cardinale, fu imprigionato dall’esercito papalino e rinchiuso a Castel Sant’Angelo. Quivi fu compagno di cella di quel Felice Orsini che fece l’attentato contro Napoleone III, attentato che gli costò la vita.
A seguito dell’ amnistia concessa da papa Pio IX, Serpieri fu liberato e, probabilmente per intercessione di Cavour, ottenne lavoro in Sardegna presso la azienda del conte Pietro Beltrami, altro esule che nella nostra Isola trovò non solo ospitalità, ma anche la possibilità di lavorare grazie alle concessioni per il taglio dei boschi firmate in suo favore dal ministro Cavour.
Fu il primo presidente della Camera di Commercio di Cagliari.
Molte sono le opere di “arte mineraria” e quando se ne parlaci si riferisce al lavoro che in miniera richiede, in ogni momento, la massima cura dei particolari e l’adattamento alle condizioni che la natura pone davanti e che possono mutare repentinamente.
PERCHE’ ARTE? I giacimenti minerari e le rocce che li inglobano non seguono leggi matematiche, ma hanno sviluppi e caratteristiche sempre diversi e pertanto richiedono costantemente l’applicazione di tecniche che consentano le più corrette opere per la messa in sicurezza delle gallerie e di tutte le lavorazioni del sottosuolo. Pertanto è un’artista l’ingegnere, è un artista il perito minerario ed è un artista il minatore, perché ciascuno di essi è in grado di trovare le soluzioni più adeguate alle diverse situazioni del sottosuolo.
Come si sviluppa una miniera ? Sui fianchi della montagna sono scavate le prime gallerie che consentono di aggredire i giacimenti già individuati. Il materiale estratto è sommariamente composto di minerale frammisto alla roccia che lo ingloba (sterile destinato a discarica).
Il tutto viene accatastato nel piazzale, all’aperto, dove in passato si procedeva alla “cernita”, operazione che comportava la separazione dei pezzi più pesanti (in quanto ricchi di minerale) da quelli più leggeri , gli sterili. A questa mansione, in passato, erano destinate le donne che cernivano enormi quantità di pietre che all’uscita dalle gallerie occorreva inviare a diversa destinazione a seconda della qualità. Era un lavoro molto faticoso: si eseguiva a mani nude, all’aperto anche in condizioni di tempo avverso. Questa è la fase in cui avviene la distinzione sostanziale nel lavoro della miniera: interno, cioè mondo sotterraneo, ed esterno, sito industriale ove macchinari sempre più complessi provvedono a separare i materiali provenienti dalle gallerie e ne predispongono l’avvio alla successiva fase della trasformazione in metallo.
I lavori, nel tempo, si sviluppano scavando gallerie, a quote sempre più basse, sul fianco della montagna per raggiungere il giacimento compreso all’interno della montagna. Ad un certo punto la morfologia del monte non consente lo scavo di ulteriori gallerie. Si approfondiscono allora pozzi verticali che raggiungono profondità di 500 metri ed oltre. I pozzi sono dotati di particolari ascensori chiamati “Gabbie” con i quali e’ possibile scendere in profondità e scavarvi lunghe gallerie. Le gabbie sono utilizzate per il trasporto del personale e dei materiali.
Nelle miniere sarde era possibile vedere macchine e innovazioni giunte nell’isola dal continente europeo, ma anche ferrovie, grandi opere di ingegneria in sotterraneo, sofisticati impianti per il pompaggio delle acque dal sottosuolo e altri brevetti realizzati nelle stesse miniere sarde e utilizzati poi nelle diverse miniere del mondo.
Complessivamente i giacimenti furono lavorati su una altezze di oltre 500 metri, sin quasi alla quota di 200 metri sotto il livello del mare, dove venne realizzato l’ultimo grande impianto per la eduzione delle acque.
Con l’aumento delle produzioni si svilupparono impianti diversi, soprattutto le fonderie. Nella seconda metà del XIX secolo sorsero nella miniera fonderie per il piombo, l’argento, lo zinco, l’antimonio..
I minerali prodotti venivano quindi trasformati in loco e dalla miniera partivano i metalli finiti (lingotti di piombo, argento, zinco e antimonio), mentre le altre fonderie di ghisa, ottone e bronzo avevano lo scopo di produrre tutti i pezzi di ricambio per le macchine allora in uso ( in quel periodo era difficilissimo approvvigionarsi di pezzi di ricambio in tempi brevi). Ogni macchina veniva completamente smontata e di ogni pezzo venivano creati i modelli in legno che, all’occorrenza, consentivano di avere i calchi per una fusione dei pezzi direttamente in miniera. Ancora oggi sono disponibili circa 8000 modelli delle diverse apparecchiature che operarono in miniera.
Alcune tra le grandi opere di ingegneria realizzate in Sardegna.
Sono ben note le innovazioni tecniche progettate e realizzate dagli ingegneri Adolfo Pellegrini, Erminio Ferraris, Cesare Vecelli e Letterio Freni (figg. 5 – 6 – 7 – 8). Alcune innovazioni ebbero i massimi riconoscimenti nella Esposizione Universale di Parigi, ai primi del XX secolo, e furono utilizzate successivamente in centinaia di miniere del mondo.
All’ing. Pellegrini si devono, tra l’altro la costruzione di una ferrovia di 21 chilometri e la realizzazione di un porto (Portovesme) nella seconda metà dell’800 per agevolare i trasporti del minerale prodotto.
All’ing. Ferraris è ascrivibile la realizzazione della galleria di scolo Umberto I° a Monteponi che consentì di abbassare la falda acquifera del bacino metallifero Iglesiente facilitando l’approfondimento di tutte le miniere ubicate all’interno del bacino stesso. All’ing. Ferraris sono ascritti importanti brevetti di macchinari realizzati negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, Francia, Austria, macchinari utilizzati in numerose miniere del mondo.
L’ing. Vecelli fu il progettista e realizzatore di un’opera unica al mondo: Porto Flavia, il porto realizzato all’interno della montagna (fig. 9) per poter caricare direttamente sulle navi (fig. 10) i minerali prodotti superando un precedente sistema basato su trasporti con piccole barche a vela note come “bilancelle” (fig. 11).
Letterio Freni fu il progettista e realizzatore di nuovi macchinari che rivoluzionarono sistemi di lavoro non solo nella miniera di Montevecchio dove vennero costruiti, ma anche in tantissime miniere del mondo quando i vari macchinari furono costruiti dall’Atlas Copco società leader nel mondo.
Non è un caso che le miniere di Monteponi , Montevecchio e Masua fossero ritenute tra le più innovative ed importanti realtà estrattive della Nazione e del Vecchio Continente.
Tra le realizzazioni più importanti del secolo scorso ricordiamo i grossi impianti per l’abbassamento della falda acquifera del bacino metallifero a 15 metri, 60 metri, 100 metri e 200 metri sotto il livello del mare. Quest’ultimo impianto, realizzato scavando gallerie e pozzi sotto un battente d’acqua di 100 metri, fu visitato dal Papa Giovanni Paolo nel 1985, restò in funzione dal 1990 al 1997 e furono numerosi i tecnici provenienti da Stati Uniti, Cina, Germania, Gran Bretagna, Spagna ecc. per conoscerne i complessi sistemi di attuazione e funzionamento.
Ricordiamo inoltre la grande miniera di Acquaresi nella quale furono adottati i più moderni sistemi di lavorazione dell’industria mondiale.
Oggi le miniere sono chiuse, le grandi pompe che prosciugavano il sottosuolo sono state fermate e l’acqua è risalità allagando gallerie e pozzi. Se non esistesse documentazione scritta, cosa potrebbero pensare gli archeologi che fra 3000 anni dovessero scoprire che nel fondo di centinaia di pozzi profondissimi è presente l’acqua ? Forse fantasticherebbero su “Pozzi sacri” scavati da giganti.
Sono stati percorsi molto velocemente i sentieri di un mondo minerario quasi scomparso. Quanto è stato descritto è solo un brevissimo capitolo della storia di una terra solitaria e misteriosa che è stata tra le regioni più avanzate, sotto il profilo tecnologico, nell’Italia di fine Ottocento e della prima metà del ‘900.
A questa civiltà mineraria sono strettamente legati i nomi degli oltre 1700 minatori che sono caduti sul lavoro nelle miniere della Sardegna in poco più di un secolo e mezzo di attività, i moltissimi minatori che sono deceduti a seguito delle malattie contratte nelle lavorazioni in sottosuolo e coloro che sono caduti nel corso di manifestazioni per rivendicare condizioni più umane di lavoro e di vita, come accadde a Buggerru il 4 settembre 1904, a Gonnesa e Nebida nel 1906 e l’11 maggio 1920 ad Iglesias.
Impossibile, in questo breve quadro, ricordare e narrare di quei tanti pionieri coraggiosi, illustri, competenti e appassionati, sardi, continentali o stranieri che, unitamente a migliaia di minatori, scrissero le più belle pagine della storia mineraria Sarda. E allora, tutto ciò che rimane oggi della “Civiltà Mineraria” può essere considerato un libro nelle cui pagine si apprendono avvenimenti e vita di un passato che potranno aiutare i giovani sardi alla conoscenza delle loro radici e quindi alla maturazione di un forte sentimento di identità.
Quando si parla di opere di arte mineraria particolarmente ardite, si citano sempre i personaggi entrati nella leggenda per le “invenzioni”, per le soluzioni a volte avveniristiche che hanno consentito all’industria estrattiva delle nostre miniere di affermarsi in tutto il mondo. I loro nomi appartengono a una galleria di veri e propri innovatori nei settori in cui i loro progetti trovarono pratica applicazione. Le maestranze tutte hanno saputo realizzare, con grande professionalità, il prestigioso percorso tracciato dai loro dirigenti.
Purtroppo molti impianti e macchine che furono il vanto di questa affascinante storia non esistono più o sono ridotti a ruderi miseramente abbandonati.
Le Miniere, che sono state chiuse per esaurimento del minerale o per sfavorevoli condizioni economiche, vanno intese oggi come sede di un nuovo grande giacimento: un giacimento di cultura.
Le testimonianze tecniche e storiche rimaste sono un valore inestimabile e la loro conservazione è un dovere di tutti affinchè il tempo non cancelli le fatiche, i sacrifici e la genialità degli Uomini che di queste Miniere furono l’anima. Questi Uomini hanno contribuito a creare una storia poco conosciuta, ma avvincente e strettamente legata ad importanti momenti della storia Nazionale e di quella Sarda in particolare.
Luciano Ottelli
Iglesias, 02 giugno 2020