Ernesta Bittanti Battisti.
Qualche anno fa, mentre sfogliavo il libro di Aldo Cazzullo “ La guerra dei nostri nonni – 1915-1918: storie di uomini, donne, famiglie” – mi sono imbattuto nel nome di Ernesta Bittanti Battisti. L’autore riportava la notizia che, nel 1882 era stata la prima donna, in Italia, ad iscriversi al Ginnasio pubblico: il Liceo Dettori, a Cagliari, situato allora nel quartiere della Marina. La cosa mi stupì perché questa informazione era del tutto sconosciuta in Sardegna. Iniziai così a documentarmi e quello che scoprii fu il ritratto di una donna eccezionale, che nella sua vita aveva fatto tutto controcorrente. Nata a Brescia il 5 maggio del 1871, aveva seguito a Cagliari il padre, docente di matematica e preside. Sarebbe però alquanto riduttivo ricordare questa donna incredibile soltanto per questo. Gaetano Salvemini la definì “l’ultima donna del Risorgimento Italiano”. Terminato il Liceo a Cagliari, si iscrive a Lettere e Filosofia a Firenze ed è qui che Ernesta incontra un giovane irredentista trentino: Cesare Battisti. Nel 1896 è tra le prime donne italiane a laurearsi. Subito dopo inizia l’insegnamento nel Liceo Galilei a Firenze. Appena due anni dopo, a causa delle sue idee socialiste e del suo dichiarato laicismo positivista, viene radiata da tutte le scuole del Regno. Nell’agosto del 1899 sposa civilmente a Firenze, a Palazzo Vecchio, Cesare Battisti. Si trasferisce quindi a Trento dove collabora attivamente a diversi periodici diretti dal marito: il Tridentum, Il Popolo, Vita tridentina. Ernesta si rivela una polemista sanguigna e coraggiosa. Porta avanti diverse campagne ed inchieste, tra cui quella per l‘abolizione della pena di morte, ancora in vigore nell’impero asburgico; sulla condizione delle donne di servizio; per l’introduzione del divorzio. La campagna in favore del divorzio urta la suscettibilità delle gerarchie cattoliche, tanto che durante la processione della Madonna Pellegrina, a Trento, gli officianti si fermano davanti al portone della sua casa, invocando il perdono di Dio per quella donna “senza fede”. Tutto questo agli albori del ‘900. Cesare Battisti, suo marito, viene eletto deputato socialista a Vienna ed Ernesta – che nel frattempo ha dato alla luce tre figli, Luigi, Camillo e Livia – deve arrabattarsi tra difficoltà finanziarie e le numerose istanze di sequestro de “Il Popolo”. Queste difficoltà non le impediscono di recarsi, nel 1908, a Messina per portare gli aiuti raccolti a favore dei terremotati. Allo scoppio della guerra, Cesare Battisti si arruola volontario e combatte nelle sue montagne tridentine, dove viene fatto prigioniero dagli austriaci ed impiccato come traditore nella Fossa dei Martiri del Castello del Buon Consiglio, a Trento. E‘ la fine di un grande amore che si è nutrito dei comuni ideali politici e di una profonda sintonia intellettuale. Con la fine della guerra e l’avvento del fascismo, Mussolini cercò in tutti i modi di strumentalizzare la figura di Cesare Battisti incontrando sempre la ferma opposizione di Ernesta. Nei giorni successivi all’assassinio di Giacomo Matteotti, i fascisti organizzano una grande adunata a Trento. Ernesta, accompagnata da Piero Calamandrei, si reca al Castello del Buonconsiglio e depone un velo nero, in segno di lutto, sul cippo innalzato nel luogo dove fu impiccato Cesare Battisti. Ferma fu la sua opposizione alle leggi razziali promulgate da Mussolini. In quegli anni tiene un diario dove annota la tragedia degli ebrei. Tra quelle pagine è riportato l’incontro con Isa Sarfatti, moglie di Carlo Foà: “ ho avuto la visita di un’ebrea (fascista, col marito, della prima ora), redattrice di Gerarchia. Il marito, un esimio scienziato, espulso dall’università. Sono alla vigilia della partenza per l’America. Non mi ispira pietà. Avrei voluto rammentarle le vittime della sua ideologia fascista e i principi perfettamente in regola colla persecuzione ebraica”. Telesio Interlandi, l’infame direttore de “La difesa della razza”, la definisce una “pecora matta”. Cesare Battisti è conosciuto da tutti gli studenti italiani. A Ernesta non si è riusciti ad intitolare nemmeno una strada, come da anni chiedono le associazioni femminili. Al Liceo Dettori a Cagliari, credo che ignorino del tutto la storia personale di questa donna che per tutta la vita si è battuta per l’emancipazione femminile e che nel 1882 frantumò quello che allora era un tabù: essere la prima ragazza ad iscriversi al liceo statale. Il Dettori, appunto.
Massimo Dadea