ISABELLA
La dimora degli Scanu, posta quasi all’estremità della collina spiccava severa tra le basse abitazioni del borgo: si estendeva tutta in lunghezza e appariva decorata dal tempo con una patina di licheni che dava risalto alla sua vetusta dignità. Proprio in quella casa vivevano, nell’agiatezza, i novelli sposi Francesco Scanu e sua moglie donna Agata Querqui.
Nel 1772, ad allietare i giovani coniugi, nacque una bella bambina che venne battezzata col nome di Maria Isabella. Questa fanciulla crebbe nella casa paterna come tutte le figlie dei ricchi di quel tempo, acquisendo una buona educazione ed un profondo senso religioso.
Le leggende riferiscono che a tredici anni la sua avvenenza stimolava la fantasia dei poveri giovanotti del paesello. Ma per Agata e Francesco Scanu, però, era assolutamente necessario – anzi ineluttabile – che la loro figliola contraesse un vantaggioso matrimonio, anche per seguire l’atavica consuetudine logudorese della scelta del “partito conveniente”, Gli ardaresi di quei tempi , purtroppo, non possedevano i richiesti requisiti.
A questo punto è bene ricordare che la cronaca difetta di ulteriori particolari della vicenda , ma si ha per certo che la mattina del 2 settembre del 1787 le tre campane del “duomo nero” di Nostra Signora del Regno diffusero armoniosi rintocchi, come avviene per le grandi solennità, poiché Isabella Scanu andava sposa, abbigliata con l’aristocratico costume locale, con un candido velo intorno al volto, mentre un lungo manto di seta viola incorniciava la sua slanciata e signorile figura. Appena quindicenne, infatti, essa veniva presa in moglie da un ricco esponente della famiglia di “prinzipales de Othieri”, Salvatore Salis-Dettori.
Ed in quel giorno il paesello misterioso, un tempo sede di illustri personaggi, senza celare del tutto la sua la sua nobiltà pur se decaduta, accoglieva tutti gli ospiti quasi a voler riproporre le lontane pagine della sua gloriosa storia, aprendosi civilmente ai numerosi forestieri convenuti per le nozze della sua ricca abitante. Si rammenta ancora che quel matrimonio venne celebrato con particolare solennità e fu allietato, con abbondanti banchetti, balli e canti che si protrassero per un’intera settimana. E’ certo però che gli ardaresi – almeno in quei primi giorni di settembre – ebbero modo di scordare le angosce e anche la fame, in quanto, tutti indistintamente , parteciparono ai banchetti veramente omerici del matrimonio di Isabella.
Due anni dopo, e più precisamente nel 1788, la casa degli sposi veniva allietata dalla nascita della primogenita Agata.
La vita di Isabella continuava a svolgersi nell’agiatezza, in quel clima di tranquillità, pervaso dalla dolce atmosfera della propria casa, in cui ben poteva affermarsi che la lotta per la sopravvivenza fosse del tutto ignorata. Però, un giorno, il destino si mostro crudele con Isabella, facendo capitolare la felicità della famiglia: moriva infatti – quasi all’improvviso – l’attempato marito. La giovane ardarese rimase in gramaglie per dieci lunghi anni.
A ventotto anni, e quindi ancora giovane, Isabella non sdegnò di rifiutare l’offerta di matrimonio di Ignazio Cosseddu, un altro anzianoto rappresentante della ricca famiglia ozierese, e ad Ardara fu molta la sorpresa quando essa nel 1800 contrasse le seconde nozze.
Il periodo di felicità durò però poco tempo: infatti il 12 aprile 1802 moriva Ignazio Cosseddu e, pochi mesi dopo tale decesso nasceva ad Isabella un bambino che ella volle chiamare Francesco Ignazio.
Affranta dal dolore, la giovane ardarese si coprì per la seconda volta nei i neri veli della vedovanza.
Poco tempo dopo la scomparsa di Ignazio Cosseddu, giunse un giorno da Ozieri un parente del defunto per invitare la vedova a partecipare ad un colloquio di famiglia che si sarebbe dovuto tenere, ad una data convenuta, per poter definire importanti affari relativi all’eredità. Isabella, quel giorno, si avviò nel suo elegantissimo calessino fino a raggiungere la tenuta di “Sette Funtanas”. In quel luogo si era dato un verso consiglio di famiglia per decisioni relative alla sistemazione del patrimonio; ella tra l’altro, ricevette la proposta di sposare Vincenzo Cosseddu, fratello minore del secondo defunto marito. Anzi parrebbe che tale riunione abbia assunto aspetti piuttosto drammatici poiché, rifiutando la giovane tale offerta avrebbe corso il rischio di essere scaraventata in uno spaventoso precipizio.
I parenti erano tutti lì schierati, pronti ad imporre la loro volontà e a raggirare Isabella, né più né meno ripetendo quel comportamento che secoli prima tennero i Signori Doria, quando costoro, quasi appunto agendo nello stesso modo, costrinsero la “Giudicessa” Adelasia di Torres a sfidare la scomunica della Chiesa pur di sposare il bellissimo e giovane principe tedesco Enzo di Svevia. Così, come se non potesse non ripetersi fatalmente quella vicenda, Isabella , più con il lasciar prevalere in sé stessa il desiderio di non avere ostili i parenti, soprattutto per il fondato timore di dover affrontare il rischio di tragiche conseguenze, non è da escludere che venisse a nutrire un’attrazione per il giovane e gagliardo cognato, accettandolo senza molta riluttanza quale sposo.
Così, Isabella si avviò verso la sua terza esperienza coniugale, accompagnata, questa volta, dalla dolce trepidanza di chi per la prima volta si innamora.
La vita coniugale degli sposi si rivelò subito lieta , essendo entrambi giovani e belli, presi dal desiderio di vivere felici la loro vita.
Riflettendo sugli aspetti più profondamente umani della vicenda, può formularsi l’ipotesi che il terso matrimonio suscitasse in Isabella un sentimento diverso, molto probabilmente in precedenza quasi del tutto represso. La sua travolgente vitalità – è possibile concludere con facilità – la fece incontrare finalmente con un vero affetto, così nutrito d’amore da concretarsi nella nascita di numerosa prole.
I coniugi Cosseddu, durante la loro vita coniugale riuscirono ad accumulare ingenti ricchezze tanto da costituire un patrimonio tra i più cospicui del “prinzipales e del nobili del Logudoro. Tali proprietà venne ancoe più incrementata dai possedimenti che Isabella aveva ereditato dal suo genitore, unitamente ai beni acquisiti dai precedenti natrimoni,
Successe però che Vincenzo Cosseddu, uomo abile e calcolatore, certamente, pur essendo trascorsi tanti anni, finì con l’essere preso da brutto presentimento, lasciando sempre più spazio nella propria immaginazione alla possibilità di fare forse l’immatura fine dei due precedenti mariti di sua moglie. Avvenne quindi che egli rientrò nella natia Ozieri in cui proprio in quel tempo si svolgevano grandiosi festeggiamenti per il privilegio concesso da Carlo Alberto di Savoia , che aveva elevato il popoloso centro logudorese al rango di città e capoluogo dell’omonima provincia, mentre era stata ripristinata, già dal 1803, la Diocesi di Bisarcio con sede a Ozieri; la famiglia ebbe degna sistemazione in un aristocratico palazzo di oltre dieci stanze all’interno di un florido giardino. Vincenzo Cosseddu, continuava a mantenere l’incaricato conferitogli dal vescovo della Diocesi quale curatore dei beni delle chiese di Ardara; a Ozirieri, inserito nella municipalità locale (comitato dei probi uomini della sua città) venne scelto a prestare atto di fidanza per l’amministrazione delle dodici ville del Ducato di Monte Acuto e, successivamente ricevette analogo incarico presso la Curia del Principato di Anglona. Con lettera di Domenico Millelire, inviata ai facoltosi coniugi Cosseddu-Scanu, l’eroe maddalelino chiedeva di tenere a battesimo il bambino di sua figlia Mariangela. Costoro, Avvalendosi dello specifico articolo del Sacro Concilio Tridentino, provvidero con “procura ad baptizandum giurati dai giugali V. Cosseddu e I. Scanu…a favore delli signori Domenico, ed Anna Maria, padre e figlia Millelire della Maddalena”.
La figura di Isabella, ormai da considerarsi quasi definitivamente scomparsa per sempre negli abissi dell’oblio, è stata ricordata da un suo discendente, il quale , durante il suo lungo mandato di podestà, volle dedicare alla lontana antenata quella via nel centro storico di Ardara che ancora porta il suo nome.
Francesco Tedde