Fanny Satta Dessenay, esordiente poetessa a 100 anni.
Il mandorlo amaro – Aprile 1983
Quando avrete letto i miei versi
E avrete finito di sorprendervi
Per l’inaspettata scoperta
Non sorridete del mio segreto
E neppure compiangetemi dicendo
Poveretta, mamma.
Pensate che se anche la vita
È stata un viaggio faticoso
Con scossoni e buie gallerie
E incidenti che han lasciato traccia,
ho avuto modo, ogni tanto
di godere la gioia
dei paesaggi prediletti…..
Per Fanny quel giorno del 9 ottobre 2014 non era un giorno qualsiasi.
Aveva riunito la famiglia, figli, nipoti e pronipoti, per festeggiare i suoi 100 anni.
Alla fine del pranzo comunica, tra lo stupore generale, che ha un segreto da rivelare.
Mentre tutti si chiedevano che cosa non sapessero di quella mamma meravigliosa, Fanny si reca nello studio e ritorna con un fascio di fogli e, rivolta al genero Enrico gli chiede la cortesia di leggere e scegliere 100 poesie che reputa più belle e di farle pubblicare in un libro il cui titolo sarà “Intima Babele”.
Sono passati 31 anni da quando Fanny ha scritto “Il mandorlo amaro” in cui fa capire che la raccolta delle sue poesie avrebbero completato quelle memorie affettive che costruiamo quando le persone care non ci sono più e qualcosa dentro di noi che restiamo, vorrebbero sapere di loro come realmente erano, dove sono e come stanno.
Le poesie di Fanny sono sentimenti che esprimono la nostalgia per ciò che si è perduto, ma anche la serenità di rivivere il ricordo di ciò che è stato.
La nostalgia per tutta la sua lunga vita è la sua Casa: Gavoi.
Per lunghi anni gli studi la tengono lontana dalla famiglia e dal suo paese natale. Gavoi è la casa della sua infanzia con i suoi giochi e la sorpresa costante di fronte al mondo; dove le persone ti aspettano per abbracciarti con lo stesso calore e affetto di sempre. E’ il luogo in cui, quando torni, non ti senti straniera.
E’ anche il luogo dove respiri un’atmosfera di fiducia, di sicurezza che ti infonde un profondo senso di pace, di pienezza. E’ lì che Fanny cerca il suo Paradiso che lei chiama il Grande Paese e lo trova nella speranza di Eternità.
Genesi 11.1 – 9
Un re di Babilonia decise di costruire una torre, chiamata “TORRE DI BABELE” così alta da raggiungere il cielo.
Tutta la terra in quel tempo aveva una sola lingua e le stesse parole.
Dio, adirato, per punire il loro orgoglio, confuse la lingua e quindi le idee e i propositi di costoro che, interrotta la costruzione della torre, si dispersero su tutta la terra. Il nome in ebraico è BALAL-BABELE confusione e caos.
L’animo umano, lo sappiamo, è complesso, ma quello femminile lo è maggiormente rispetto a quello degli uomini.
Fanny vuol mettere ordine in quel luogo intimo del pensiero che segna il limite tra il mondo esterno e quello interno. E lo fa con “INTIMA BABELE” partendo dalle lettere dell’alfabeto disordinate come lo erano il linguaggio e le parole dei Babilonesi puniti da Dio.
Ricostruisce parole, pensieri sentimenti, emozioni percorrendo quel labirinto complicato che è la vita.
I versi, pieni di suggestiva potenza, diventano le tessere di un mosaico e via via che trovano la loro collocazione , fanno emergere i luoghi della sua infanzia: “GAVOI” un paese come tanti altri ce ne sono, separati dai fitti boschi e i pianori dove risuonano i campanacci delle greggi, le voci delle donne che lavavano i panni nel torrente che scorreva sotto il ponte romano; il profumo dei mirti, dei lentischi, dell’elicriso. Profumi che senti anche quando la vita ti porta lontano oltre il mare.
Allora la notte più buia sommergeva il paese e il silenzio assoluto, interrotto dal latrato di un cane e dai passi sul selciato dei Carabinieri Reali che facevano la ronda.
FANNY è sarda, fortemente e intimamente sarda e questo mondo, le persone, i luoghi, le cose, le porta con se per tutta la vita. E così ti accorgi che ti ha preso per mano e anche tu ripensi al tempo in cui la sirena nella miniera di Monteponi scandiva la vita della città, il profumo dei mandorli inondava le vie e le donne lavavano i panni nel torrente e profumavano di mentastro. Oggi i quartieri hanno sostituito i mandorli e il ponte romano è finito sotto l’acqua della diga come quello di Gavoi.
Fanny sa che, nel giorno del suo centesimo compleanno, si trova quasi in cima alla Torre di Babele che non è più sinonimo di caos, confusione e il mosaico completato rappresenta la sintesi di un mistero in cui passato, presente e futuro si fondono in quell’enigma che è il tempo.
E allora la BABELE EBRAICA riacquista il suo vero nome antico che nella lingua dei primi abitanti era
BAB – EL la porta di Dio.
Fanny aspetta che quella porta si apra perché vuole incontrare le persone amate con le quali riprendere il cammino verso quella dimensione senza tempo che è l’eternità.
In un mondo globalizzato dove sembra che non ci sia più posto per i sogni, per il futuro e anche il presente è incerto, i versi di Fanny diventano il messaggio di speranza, riportato all’inizio della prima parte del libro con i versi di Cesare Pavese: “ Un paese, ci vuole…Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”.
La vita di Fanny si conclude a Cagliari dove Lei la vissuto e insegnato il 30 Aprile 2019.
Adriana Biffis Ottelli