Il dono
Voci di strada, rumori di gente,
mi rubarono al sogno per ridarmi al presente.
Sbiadì l’immagine, stinse il colore,
ma l’eco lontana di brevi parole
ripeteva d’un angelo la strana preghiera
dove forse era sogno ma sonno non era
– Lo chiameranno figlio di Dio –
Fabrizio De André
Si sopravvive di ciò che si riceve, ma si vive di ciò che si dona.
Carl Gustav Jung
Non è ricco colui che possiede molto, ma colui che dona molto.
Erich Fromm
In questo Natale di “lontananza”, in cui la maggioranza delle persone si sente angosciata dalla privazione dell’aspetto ‘materiale e godereccio’ per le misure prese dai vari governi in giro per il mondo, mi sono più volte chiesto quale dovrebbe essere il vero messaggio del Natale, un messaggio che unisca tutti senza partigianerie e divisioni. Non nascondo che mi sembrava un’inutile ricerca, il Santo Graal dell’umanità. Avevo già archiviato la riflessione come una banale considerazione che non avrebbe trovato strade praticabili, quando mia figlia, reduce dalle attività di tirocinio nel reparto di maternità dell’ospedale SS. Annunziata di Sassari, raccontò a me e mia moglie che erano nati due meravigliosi bambini. Scherzando, rilevai che erano venuti al mondo in anticipo di qualche giorno. Lo sguardo di mia figlia sottolineò la sua riprovazione per la mia battutina poco felice e banale e mi apostrofò con: «Una nascita è sempre un dono. Non importa quando nasci e dove nasci.»
Mi sentii un po’ l’investigatore che trova la chiave di un caso estremamente difficile da sbrogliare. “Un dono”, questa era la risposta che cercavo. È la chiave per spiegare che questo giorno da tutti atteso trova la sua universalità. Il dono di una vita di speranze e di gioia, che non può essere in alcun modo sminuito dalla offensiva esibizione dei muscoli della ricchezza, dalla ricerca spasmodica del divertimento fine a sé stesso, dall’immersione irrazionale fra regali, pranzi, addobbi e vetrine luccicanti.
Ho riletto, dopo anni in cui non ne sentivo la necessità, il Vangelo di Luca, perché ricordavo dei passi illuminanti sui futuri sviluppi della nascita di Gesù e del cristianesimo. Sono i versi I, 31-45: «Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». Allora Maria disse all’angelo: «Come è possibile? Non conosco uomo». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». E l’angelo partì da lei. In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto”.
Per me laico, ma permeato di cultura cristiana, quelle parole non sono state infilate nell’oblio di una scelta di rabbia e di puro spirito di rivolta, ma hanno sempre offerto un’occasione di riflessione e di confronto con chi affronta i problemi di chi soffre. Il dono della Natività può e deve essere l’occasione per vivere un Natale diverso da quelli passati, volgendo lo sguardo verso chi, anche nel passato, non ha mai avuto grandi motivi per festeggiare o chi pensava di non avere motivi per farlo. Ci può essere per tutti l’occasione, e questa temperie sanitaria lo è, per stare davvero più vicini a chi soffre, a chi è solo, a chi attende un aiuto solidale. Quel dono, che tutti abbiamo ricevuto, dobbiamo trasformarlo in “dono di vicinanza” a chi ha bisogno della nostra solidarietà. Facciamo nostre le parole di papa Francesco: «In questo tempo difficile, anziché lamentarci di quello che la pandemia ci impedisce di fare, facciamo qualcosa per chi ha di meno: non l’ennesimo regalo per noi e per i nostri amici, ma per un bisognoso a cui nessuno pensa.» È l’occasione per restituire parte del dono ricevuto con la Natività e dimostrare la falsità del luogo comune che “il consumismo ci ha sequestrato il Natale” (Papa Francesco).
Gianni Avorio