“A pioggia cadevano le serenate. Lungo le strade strette, ciottolose. Con l’erba sui muri ed i gerani a cascata…” G. Elies
Davvero, era tempo di galanìa, di serenate; tempo in cui doveri e spensieratezza erano ai primi posti nella scala dei valori. Tempo di crescita individuale e sociale, di comunioni vere, e sincere, di ecumenismo, di solidarietà. Esistevano anche frange di superficialità, ostruzionismi, ripicche e vendette ma sempre limitate, poche e selezionate in un paese -come il nostro- che ha vissuto di Storia e di cultura. Non dimentichiamo che colui che ha posto in essere presso il Governo Sabaudo le scuole di ricamo, cucito e piccola alfabetizzazione e che ha inserito nella bassa provincia italiana le biblioteche è stato un osilese, ossia il canonico Antonio Manunta Crispo. Non solo, non vorrei sbagliarmi ma, la Monografia del canonico Liperi-Tolu – è il primo testo in Sardegna che racconti un paese. Dunque un paese , socialmente e individualmente sano, libero, scevro da attività non garantiste, salvo qualche piccola e breve parentesi. Se così non fosse stato, nel 1827 durante il prolungamento della Carlo Felice, il paese sarebbe stato letteralmente tagliato fuori dal Pregetto. Allora gli osilesi, intraprendenti sul serio, si organizzarono, raccolsero 2.609 lire sarde e costruirono quella che oggi consideriamo la vecchia strada Sassari-Osilo. Una magnifica esperienza di paese unico, da cui potremmo – volendo- prendere esempio. Ma torniamo a sa galanìa, Nino Canalis e la fam. Dettori (in comproprietà) decidono di adibire un loro locale a sala cinematografica definendolo “cinema Splendore”. E splendore infatti lo fu: sala di discrete dimensioni, con palco, servizi e bar, arredata come d’uso, ospitale, e adibita alternativamente a cinema oppure sala da ballo. Ritrovo di alto respiro, frequentato in entrambi i casi da molta parte della popolazione, specialmente dopo la fine della Seconda Guerra mondiale. A metà degli anni Sessanta, cessò di essere cinema e si consacrò come sala da ballo, dapprima con musica dal vivo con i Bertas, poi con Bertas e Baronetti, infine con i dj Franco Cozzula, Proto Bagedda e Antonio Manca. Nel frattempo, era mutata la gestione, si erano inseriti “Luisone”, Giovanni Cozzula e Felice Dettori in qualità di proprietario. La costumanza del ballo era che doveva essere rigorosamente all’osilese: l’invito individuale era riservato all’uomo per la ballerina senza maschera, era invece riservato alle donne se travestite e/o mascherate. Non era improbabile, anzi, che qualche uomo volesse partecipare alla serata travestito in maschera: più spesso in domino (ricordiamo con affetto Gigi Bella e Gigi Piliarvu, habitué nel celarsi goliardicamente sotto una maschera) ma anche in faldettas covaccadas o in lentolu. Poi, la fantasia osilese non aveva limiti, ci fu persino chi si travestì da carabiniere.Anni e vicende di grande spasso e coinvolgimento, serate e nottate adatte per fuggire la malinconia, su disispèru, la solitudine. Ad un parterre femminile di maschere di grande effetto corrispondeva una platea maschile di ballerini, attratti da tutto l’Innterland, desiderosi di divertirsi ma anche galanti. Infatti, molto spesso le ballerine -mascherate o no- venivano invitate al bar: “macherine a buffè”, era l’invito canonico dopo un ballo ben riuscito. Da sottolineare l’uso del domino, proveniente dalla Francia settecentesca e guarda caso approdato solo ad Osilo.Diciamo che la sala più à la page, per dirla alla francese, era quella di Canalis: S’ ispeldore; ma nel paese le salette da ballo si contavano a decine: Sala Canalis, Olimpia, Montebello, S’ammassu, S’ala azzurra, S’istalla, Sa Sàmuda, Su coile, Sas Codinas, Sa Fuylca, Sa Veloce, Su c.i.c.ò.Un paese ed una società che amava il ballo e soprattutto tutte le occasioni per fare comunità, alleanze, contratti e tutto ciò che potesse essere bene per il paese e quindi per i suoi abitanti.Tempi d’oro, forse, quando anche le malizie erano misurate.In fatti, tutti i gestori delle sale, controllavano con occhio vigile a che non accadessero situazioni poco limpide; nella sala S ‘Ispledore, Luisone -al secolo Luigi Fedeli ex pugile – vigilava minuziosamente spegnendo con garbo le eventuali scintille all’interno della sala, più che altro nate fra ballerini osilesi e forestieri.Era anche il periodo delle serenate, i giovani si riunivano e si recavano a notte iniziata sotto le finestre delle fanciulle e dedicavano loro una canzone alla moda.Belle storie, belle opportunità di crescita, bei modi di affacciarsi alla vita. Così siamo cresciuti, forse un po’ timorati ma sereni e gioviali, come in effetti dovrebbe essere, lasciando le ripicche e le competizioni fuori dalla porta e dal cuore.Un paese che c’era e che non c’è più, per quanto il Novecento non sia stato un secolo tranquillo, se non dalla seconda metà in poi.Voglia di vivere, di organizzarsi, di stare insieme senza troppi “se e ma”; una società in crescita che riuscì a raggiungere vette di popolazione vicine ai settemila, senza tuttavia intaccare quella soglia di referenzialità tipica dei nostri comportamenti.“Su tempus chi passat” ebbe a scrivere Ugo Dessy e aveva ragione.
Giovanna Elies